E anche il Novecento ha tirato le cuoia. E’ finito, anzi no, è morto: sono morti gli anni Sessanta (“Prendi questa mano zingara”, sembra roba dei tempi di Galileo); sono morti i Settanta (“Tu mi rubi l’anima” e non solo quella…); sono morti gli Ottanta (“Cosa resterà di questi anni Ottanta” si chiedeva sardonico Raf) e sono morti tristemente puri i Novanta (quelli in cui Britney Spears vende milioni di copie e Lucio Battisti si ferma al trentesimo posto col bellissimo “Hegel”). Certo, molte cose non sono andate perse: Jimi Hendrix, Bob Marley, Fabrizio De Andrè, Bob Dylan, Rolling Stones, il primo Michael Jackson, Battisti, forse i Beatles, De Gregori, e Venditti.

Ecco, Venditti. “In questo mondo di ladri” anche Venditti è morto. Cantautore modello, artista integerrimo, cantore di una città (e di una cultura), tifoso sfegatato romanista, ottimo musicista, uomo di sinistra non amante di certa sinistra. Se anche l’autore di alcune delle canzoni più eclatanti degli ultimi vent’anni (si pensi a “Bomba o non bomba”, “Ci vorrebbe un amico”, “Ricordati di me”) si mette a canticchiare canzonucole di bassissima lega, ecco, vuol dire che siamo proprio al capolinea. Che ne so: è come se Mick Jagger si mettesse a cantare “Genie in a bottle” di Christina Aguilera. Bleah!

“Goodbye Novecento” esclama Venditti, ma il suo è un addio mesto, quasi etereo. Un disco composto da 8 canzoni deve averne almeno una, dico una, quantomeno decente. E invece no. Qui di decente c’ è solo la copertina. “Che tesoro che sei” è una delle più ridicole e insulse canzonacce d’amore mai realizzate (“Che tesoro che sei quando mi guardi quando penso con gli stessi occhi tu mi lascerai”: qualcuno si commuove?); “La coscienza di Zeman” fa rimpiangere “La partita di pallone” di pavoniana memoria; “In questo mondo che non può capire” ci si addormenta, poi ci si risveglia, poi ci si riaddormenta. No comment sui lamenti di marxista memoria su cui Venditti rimugina (e rimpiange) nella fiacchissima “Fianco a fianco”.
Testi imbarazzanti si contrappongono, curiosamente, ad una musica vivace e sostenuta. Alcune intuizioni musicali (le belle chitarre in “V.A.S.T.”) non sono disprezzabili ma anzi, fanno a tratti ricordare le belle melodie del vecchio Venditti. Ma è solo un sussulto, un momento che si spegne senza quasi mai essere stato acceso.

Forse è meglio che questo vecchio, odioso, malconcio, triste secolo sia giunto al capolinea. E’ morto, e come tutti i defunti dopo il funerale si pratica la lettura del testamento. Nel nuovo secolo (che non pare migliore del precedente) portiamoci solo i buoni ricordi (“Don Giovanni” e “Blowin in the wind” secondo il sottoscritto) e dimentichiamo, il più velocemente possibile, tutte le cianfrusaglie di tanti cosiddetti cantautori senza più né estro né genialità.
“Goodbye Novecento”. Goodbye.

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