GIOVANNA D'ARCO.
Si sono concluse ieri sera le rappresentazione di "Jeanne d'Arc au Bucher", musica di Honneger su testo drammaturgico di Claudel. Con quest' opera l'Auditorium Parco della Musica di Roma ha voluto aprire la stagione 2008/09. Pappano si avvale della regia di K. Warner, regista lirico tra i più noti, per allestire uno spettacolo avvincente come un film può esserlo ma con l'intensità e la capacità di commuovere che gli vengono dalla recitazione degli attori e dalla musica che è strettamente intessuta, filo per filo, nota dopo nota, nella trama.
Chi mi conosce sa quanto mi avvicini con sospetto a cose che senta molto ‘nuove', a torto, ma chi mi conosce, sa pure di quella curiosità che proprio dal nuovo e dalla novità, non mi tiene lontana. Ed eccomi lì, tra il pubblico, soggiogata da uno spettacolo difficilmente definibile e fuori dai parametri formali, non un oratorio, non un melodramma, né un'opera solo emozioni allo stato puro.
Il trionfo e l'apologia del nazionalismo francese, ma anche il simbolo della vocazione verso qualcosa, della lotta per la Verità e per l'affermazione dei valori di amore, solidarietà e Unità, sino alla fine, oltre la morte. Jeanne è l'eroina che consacra la sua vita ad un ideale, quello di una Francia unita sotto uno stesso re; è la donna forte ispirata da Dio ma anche la vergine fanciulla, giudicata dagli uomini. Cattolico, profondamente religioso ma anche dissacratore, Claudel rappresenta i giudici come animali, un maiale, un asino e le pecore, un bestiario che stigmatizza l'arrogante stupidità umana.Fa pensare il fatto che questo ‘dramma' che inneggia all'Unità sia stato composto tra il 1935 e il 1942 e sia stato rappresentato di nuovo oggi in un momento in cui invece la storia sembra portarci indietro. Il testo di Claudel è serrato. La musica di Honneger ora lo sostiene, lo sottolinea nell'ironia, ora se ne allontana. Pluristilismo e convivenza di codici espressivi diversi, il gusto per il gioco combinatorio e linguaggi apparentemente incompatibili ma sempre pensati e voluti; dal candore delle voci bianche ai ritmi martellanti del Jazz, dai rintocchi cupi delle campane agli effetti sonori dati dalle Onde Martenot; giochi di luci ed ombre sonore, di impasti di colori e timbri che si scontrano in una orchestra privata del suono aperto e netto dei corni a vantaggio di quello morbido, denso, pastoso, scuro, del Sax,
La prosodia del verso di Claudel è a sua volta incalzante, essa stessa musicale; l'accentazione perfettamente allineata con quella musicale si fa musica; parole e note, in un binomio inscindibile, trapassano naturali le une nelle altre in una osmosi continua. Ed il ritmo è quello scandito dal respiro e poi dal sospiro di colei che ha sfidato la stoltezza, l'avidità ed il potere. Ma ora è sul rogo e nello sdoppiarsi dellacoscienza, ormai prossima a morire, ricorda il passato. Magistrale la regia: allestimento scenico essenziale senza essere però privo di effetti tesi a rappresentare la profondità e la diversità dei piani temporali. Jeanne parla, ricorda, freme, si fa coraggio, ha paura, è lì su una piccola sedia; alle sue spalle, la medesima sedia, enorme, sulla quale si trova il suo corpo morente. E giochi di luce, proiezioni di immagini che si alternano ai personaggi, ai cori, rendono vivace il procedere di una azione non in movimento eppure mai statica.
Intensa la recitazione di Romane Bohringer e nulla ha da invidiare a quella della Bergmann diretta da Rossellini; duttilità magistrale dell'orchestra nel farsi puro timbro, ma sopra tutto, dietro ogni movimento, ogni parola, ogni crescendo e diminuendo, ogni azione, ogni espressione, ogni luce, grande la co-regia di Antonio Pappano, vero deus ex-machina e non solo di questa produzione.
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