Nel vastissimo catalogo delle opere di Antonio Vivaldi (circa 1.000 numeri considerando le appendici), la musica da camera rappresenta una parte non considerevole e, probabilmente, una delle meno note rispetto alla frequentatissima produzione concertistica e sacra, a cui si è agggiunta, negli ultimi anni, quella operistica. Per quest'ultima si pensi, ad esempio, alle recenti produzioni dell'etichetta "Naive" o alle arie d'opera riscoperte e magistralmente eseguite in forma di concerto da Cecilia Bartoli.
Di questa produzione cameristica, una buona parte è compresa nelle raccolte dell'Opera 1, 2 e 5, facilmente ascoltabili in disco (piuttosto famosa l'edizione integrale della Philips).
Restano prive di una concezione unitaria una serie di Sonate che la storiografia musicale (e di conseguenza l'industria del disco) cataloga in funzione dei luoghi in cui vengono riscoperti i realtivi manoscritti.
E' il caso di questa raccolta di "Sonate di Dresda" per Violino e Basso Continuo Rv 5, 15, 26, 28 e 34 secondo la classificazione di Peter Ryom, salvate dall'oblio grazie alla lungimiranza di Johann Georg Pisendel (1687-1755) amico, prima che allievo, del Maestro veneziano, che le portò con sè di ritorno a Dresda nel 1717.
Un plauso va quindi al trio Biondi, Naddeo e Alessandrini per averci dato la possibilità di ascoltare queste rarità.
Fatte queste premesse, mi è ancora più difficile dimostrare la mia contrarietà nei confronti dell'esecuzione proposta dai tre. Non escludo che sia io in errore, essendomi fatto un'idea sbagliata del modo di proporre i lavori cameristici di Vivaldi, che banalmente possiamo considerare come la solita "palestra" del compositore che sperimenta la sua arte prima di stupire il proprio pubblico con ben altri effetti.
Detto ciò mi sarei aspettato una "confortante" lettura brillante, estremamente ritmica e fluente, ricca nei contrasti armonici e giocosa con gli effetti di risalto del basso continuo che ritrovo in altre incisioni di musica da camera del veneziano.
Siamo, al contrario, in presenza di un'esecuzione che non voglio definire "svogliata" ma perlomeno "affaticata" - se mi consentite il termine - nel senso di costretta, poco spontanea. Il suono del violino, in netta evidenza rispetto al clavicembalo e al violoncello, presenta un suono "grasso", tutt'altro che elegante, affaticando la già difficile digestione di un repertorio caratterizzato da una certa uniformità stilistica.
Mi risulta, pertanto, difficile portare a terminare l'ascolto di tutto il cd, che mi vedo costretto a dosare in più sessioni. In nessun punto riesco a farmi trascinare dalla musica e mi rimane in testa l'idea che i tre non si siano dedicati con il giusto impegno che richiede l'esecuzione di tali musiche.
Consigliato solo agli "integralisti" e a coloro che abbiano le competenze per spiegarmi se è così che deve essere eseguito Vivaldi. In tal caso valuterò se abbandonare o mene queste calle...
Fabio Biondi (violino), Maurizio Naddeo (violoncello), Rinaldo Alessandrini (clavicembalo), Opus 111, 1996, DDD
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