E' opportuno tornare a parlare di questo disco per l'ennesima volta? Credo di sì. E la ragione è molto semplice. A distanza di più di due anni dalla sua pubblicazione, possiamo finalmente affermare che può essere considerato un classico. Azzardato? Può essere, tutto può essere. Di quanti dischi del presente secolo può dirsi altrettanto? Pochi, indubbiamente. Mi sembra che questo abbia tutti i crismi perché la predetta definizione possa essere accettata. Vediamo.

La scrittura delle canzoni. Pianistica. Tradizionale. Siamo sempre dalle parti di strofa e ritornello, raramente un ponte anticipa il refrain, è più facile che Antony vi vada direttamente, saltandolo. Niente di nuovo. Tutto già sentito. Eppure, non si riesce bene a comprendere dove, quando, in quale altro disco. Una semplicità che non è minimalismo, ma ricerca dell'essenzialità, liberazione dal superfluo, tensione verso l'assoluto.

Gli arrangiamenti e la produzione. Chitarra elettrica ed ottoni solo in un brano. Per il resto, archi. Mai ingombranti, sempre rispettosi della scrittura di Antony, della sua voce e del suo piano. Si capisce che Thomas Newman ha lavorato soprattutto per il cinema. Sa quando il suono deve essere più asciutto e quando più pieno, quando deve coinvolgere e quando deve lasciar sentire il respiro del protagonista.

Il cantato. Posso tranquillamente dire che Antony è un cantante straordinario. Ci sono degli ospiti incredibili, per essere un disco di un quasi esordiente. Dai miti di Antony da ragazzo (Boy George) a chi l'ha aiutato (Lou Reed) ad i suoi amici (Devendra Banhart) eppure Antony li sbaraglia tutti (eccetto forse Rufus Wainwright, nella breve "What Can I Do", ma finisce in parità). Il paragone, tra quelli che girano e che mi sembra il più azzeccato, è quello con Nina Simone. Una voce di donna che pare quella di un uomo, per un uomo che cerca di essere donna.

La copertina. "Candy Darling On Her Deathbed", una fotografia di Peter Hujar del 1974. Un ritratto in ospedale scattato pochi giorni prima che Candy Darling (quella di "Candy Says", per capirci, nonché star in un paio di film di Warhol) morisse di leucemia. Un bianco e nero struggente, che raffigura benissimo non solo la musica che contiene, ma credo anche lo stato d'animo di Antony. Un corpo talmente difficile da accettare, che la morte in certi momenti può risultare l'unica via d'uscita dalla sofferenza del vivere.

Le liriche. Che questo sia un disco che racconta un'invincibile lotta con la tristezza, mi sembra sia evidente. Nel contempo c'è sempre una tale voglia di combattere, che comunque infonde ottimismo. Come la musica, i testi sono semplici e diretti, eppure efficaci. La condizione di transessuale viene raccontata da Antony senza infingimenti di sorta, ma con una purezza che ci coinvolge. "One day I'll grow up, I'll be a beautiful woman, I'll be a beautiful girl, but for today I'm a child, for today I'm a boy".

Per finire. Vi sono, credo, alcune questioni che, chi ascolta musica da molti anni, ogni tanto si pone. La principale è se uno riuscirà ancora ad emozionarsi e commuoversi ascoltando un nuovo disco. Se sia possibile scrivere canzoni che uno non ha già sentito migliaia di volte. Se qualcuno possa esprimere la propria arte, nuda e cruda, per quella che è, senza pensare se i suoi dischi venderanno o i suoi video verranno trasmessi da Mtv. Antony and the Johnsons ci dicono di sì. E per questo siamo loro grati. Perché ancora ci fanno credere.

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