Anubi, Dio della Morte Egizio, è il nome di questa interessantissima band proveniente dalla fredda Lituania, Kaunas per la precisione. Padre del progetto è Lord Ominous (Deceduto il 30 marzo del 2002), ed insieme a lui troviamo una vasta gamma di collaboratori; tra chitarra, basso, batteria, tastiera, programmazioni elettroniche, sax, fisarmonica e altro ancora si alternano tra loro una miriade di strumentisti, mentre il Lord è addetto alle parti vocali.

Dopo vari Demo, nel 1997 gli Anubi consegnano al proprio pubblico il primo Full-Length "Kai Pilnaties Akis Uzmerks Mirtis", e già dal primo ascolto l'album si dimostra un disco fuori dal comune. Dal punto di vista vocale una voce pulita e una in scream si intersecano per tutta la durata dei brani, la lingua è quella madre del gruppo, le liriche sono quindi interamente in lituano, ma nonostante la scarsa comprensibilità non hanno difficoltà ad entrare nella mente di chi ascolta. Gli strumentisti sono veramente ottimi e tutti i suoni si mescolano in un'amalgama davvero strepitosa, nessuno è messo in secondo piano, il basso ricopre un ruolo fondamentale sia in fase ritimica che in fase solista, la tastiera a volte spunta improvvisamente fuori in maniera energica con stampo quasi jazzistico, altre accompagna soffusamente l'ascoltatore all'interno del brano, gli strumenti a fiato disegnano delle melodie sognanti, creando tappeti sonori veramente coinvolgenti come nella strepitosa "Á Naujà Galybæ" uno dei punti più alti dell'album . Le composizioni sono varie e ben studiate, si passa da momenti di malinconia ad attimi di schizofrenia vera e propria, in altri ancora la musica sembra così ordinata e semplice, come per esempio nella strumentale "Ir Saulë Neteko Savo Pusës Veido", da richiamare quasi un disturbo ossessivo - compulsivo da vivere da soli raggomitolati in un angolo di una stanza fredda e umida, un unico giro di chitarra ripetuto all'inifinito sino allo strazio e all'alienzione mentale. Un disco in grado di donare euforia o di risvegliare i fantasmi che ognuno di noi cerca di sopprimere e di nascondere, intermezzi apparentemente senza senso come la brevissima "Folklorinë Daina Apie Mirtá" portano un sapore di solennità e di antichità all'interno dell'album come a voler richiamare quel Dio di una civiltà passata, ma mai dimenticata, 50 secondi di ritorno al passato con la mente in una catacomba o nel sotterraneo di una piramide, tramite quello che sembra essere un vero inno alle divinità.

Ogni brano è particolare, è storia a se, vive di vita propria, ma allo stesso tempo non sembra avere senso al di fuori della consecutio temporum che lo contraddistigue nell'album, tutto è studiato perchè le emozioni si susseguano in un certo modo, in un ordine prestabilito dal Lord, o forse da Anubi che impossessatosi della sua umana mente gli ha permesso di mettere in musica ciò che si trova nel regno dei morti rendendolo comprensibile ai vivi. Tutto questo trova il suo apice nella traccia conclusiva "Tarp Akmens Ir Veidrodþio", 15 lunghissimi minuti di discesa nel buio, un preghiera lenta e cupa che sembra non finire mai, parole recitate sopra un sottofondo Dark Ambient, sommesse urla si innalzano dal profondo, sembrano essere di aiuto, implorazione, ma forse è solo la rassegnazione di restare per sempre imprigionati sotto il potere di Anubi, un sax solitario, tetro e glaciale ci accompagna sino alla fine, sembra essereci il nulla, un minuto di silenzio, e poi ciò che non ci si aspetta, uno spiazzante finale tastieristico tutto fuorchè cupo e raggelante, forse messo lì di proposito proprio per destare l'ascoltatore e riportarlo al mondo reale...

Più che un album, un vero viaggio, che chi ama queste sonorità non può non intraprendere.

 

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