Partiamo in quarta con una sparata clamorosa (una più una meno fa poca differenza): Gli ABBA hanno inventato il futurepop. Avete presente "The Visitors", non l'album ma la canzone? Reminescenze new wave, refrain enfatizzato, ritmo ballabile, inquietudine, presenze aliene. Quantomeno un inizio, forse ufficioso ma comunque fortemente ispiratorio. Fatto sta che, una ventina d'anni più tardi il signor Apoptygma Berzerk, al secolo Stephan Groth, se ne esce con un album incentrato sulla stessa tematica e che, con tutte le differenze e le evoluzioni stilistiche del caso, discende in linea pressochè diretta da quella splendida avanguardia scaturita dal genio creativo di Benny Andersson e Bjorn Ulvaeus. Un titolo chiaro e semplice ed un simbolo immediatamente riconoscibile in copertina per un lungo viaggio che esplora, tra molteplici raffinatezze stilistiche, una delle tematiche cardine della letteratura e dell'immaginario fantascientifico: il contatto con creature aliene. "Welcome To Earth" è un concept album through and through, un'opera molto ambiziosa ed affascinante che suona come un musical in vari atti, molto struttutato, sceneggiato alla perfezione, reso veramente grande da una massiccia dose di naturalezza ed ispirazione compositiva che lo salva dal più grande rischio e difetto di progetti di questo genere, ovvero il manierismo.

Ricapitolando, Stephan Groth esordisce nel 1993 con un album synth pop/EBM dalle forti tinte gotiche, ancora leggermente acerbo ma in cui già si intravedono grandi potenzialità, quattro anni dopo arriva la seconda prova, "7", ed accanto alle sfumature darkish cominciano a prendere piede con maggiore convinzione sonorità più techno/trance, di cui episodi come "Non-Stop Violence" e soprattutto il gioiellino "Electricity"  rappresentano un chiaro esempio. Nonostante le premesse non fossero quindi del tutto inedite, il cambio di passo tra "7" e "Welcome To Earth" del 2000 rimane comunque assolutamente radicale e si può parlare a tutti gli effetti di una seconda fase nella carriera del musicista scandinavo, il suo periodo più ispirato e creativo che comprenderà anche il quarto album "Harmonizer". Questa sontuosa FuturePopOpera dà continuamente l'impressione di poter "deragliare" da un momento all'altro, soprattutto nei primi approcci si ha la sensazione che il passo falso, l'episodio senza capo nè coda, l'intermezzo inutile, il riempitivo, il passo più lungo della gamba siano dietro l'angolo, pronti ad alterare l'equilibrio delicato del concept, ma alla fine tutto funziona perfettamente. Per apprezzare in toto "Welcome To Earth" è necessario un certo gusto per la grandeur, se non amate arrangiamenti e melodie magniloquenti forse è meglio astenersi ma a parte queste sfumature l'album è nulla meno che formidabile. Coinvolgente, corposo, ricchissimo di tensione emotiva, trova le sue espressioni migliori in episodi come "Eclipse", un incalzante ed epico midtempo espressione del futurepop nella sua forma più statuaria e wagneriana, con la sua potente melodia synth-arpeggiata stile VNV Nation di "Empires" ed il cantato scandito ed intenso di un grande Stephan Groth, artista ormai maturo e capace di sfruttare il suo carisma al massimo delle proprie possibilità e "Kathy's Song" che al contrario punta su un approccio più sottile, proponendosi come un suggestivo idillio trance con inflessioni psichedeliche; ritmi ipnotici, linee vocali suadenti e riverberate, una sensazione di tranquillità lievemente straniante; una canzone tutt'altro che radiofonica eppure stiamo parlando della hit di maggior successo degli APB, capace di inserirsi in posizioni di alta classifica in Germania e paesi scandinavi, per altro senza una major alle spalle nè particolari spinte mediatiche, e qui potrei esprimere parecchie considerazioni ma preferisco non annoiarVi .

In mezzo ai capolavori di "Welcome To Earth" si fa notare una cover di "Fade To Black" dei Metallica e, mettendo da parte la viscerale antipatia che nutro per il quartetto californiano non posso non ammettere che sia una scelta molto azzeccata soprattutto dal punto di vista tematico, la sua "disperazione" ben si integra in un contesto emotivo schizofrenico, che spazia dalla fascinazione all'innato timore di fronte all'ignoto; inutile dire che, senza masturbazioni chitarristiche e soprattutto senza la voce sgradedevole di Hetfield la canzone non può che guadagnarne, e Stephan fa un eccellente lavoro sia come cantante che come remixer creando così un buon episodio di contorno, il più veloce e diretto dell'opera insieme all'opener "Starsign" con il suo groove granitico e coinvolgente, da perfetto live-encore. Un altro grande pilasto dell'album, purtroppo messo un po' in ombra da altri episodi più "sgargianti" è sicuramente "Paranoia" che invece punta su un minutaggio più fluido e dilatato, caratterizzato da un groove abbastanza scarno ed un cantato "acqua e sapone" non ritoccato da effetti di studio che ben si sposano con una melodia particolarmente orecchiabile ed azzeccata, un ottimo synth-pop rimodernato e tirato a lucido. "Help Me!" è il frangente più sperimentale dell'album ed anche il più oscuro ed inquietante, che vuole essere la trasposizione musicale di una "abduction experience": un continuo susseguirsi di voci fuori campo, ritmi stranianti, orchestrazioni in minore che emergono periodicamente sottolineando un'atmosfera allucinata ed aliena nel senso più autentico del termine, ma  in "Welcome To Earth" c'è spazio anche per due splendide ballate, novità assoluta per gli Apoptygma nonchè piuttosto rare nel futurepop e non sempre particolarmente memorabili, ma anche in questo caso l'ispirazione di Stephan Groth è veramente in uno stato di grazia; "Moment Of Tranquility" è un interludio, posto in posizione centrale nel contesto dell'opera, e la sua struggente malinconia affiora con straordinaria ed inaspettata delicatezza; i ritmi rallentano e si dilatano, domina una sensazione di ineluttabile fatalismo, il dolore di un addio affrontato con compostezza e dignità, "LNDP3" è il gran finale, il colpo di teatro che non ci si aspetta. Stephan Groth, la one-man band, il protagonista e leader indiscusso, cede il microfono alla corista Kari Pettersen, che ricambia con una performance meravigliosa che nobilita ulteriormente questa ballad orchestrale triste nell'anima ma di una bellezza struggente e ricca di pathos, poetica e profondamente emozionante, una "Death Is Not The End" secondo la visione di Stephan Groth, l'epilogo migliore per un'opera che segue un filo logico molto coerente e rigoroso, in cui ogni atto è la diretta conseguenza del precedente. Intenso, visionario ed appassionante, questo è "Welcome To Earth", album fondamentale per il suo genere nonchè esemplare rigorosamente unico, liberi di crederci o meno, di condividere o meno, ma parlare di capolavoro per un album come questo non è assolutamente un'esagerazione.

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