Siamo nel garage di una piccola cittadina come tutte le altre al centro degli Stati Uniti: fuori fa freddo, le cartacce per la strada vengono portate via dal forte vento e si schiantano suicide contro i pali dell'illumninazione. Dentro al garage gli strumenti stanno effettuando una intensa seduta defaticante per i muscoli e le corde di metallo. Gli Appaloosa hanno appena terminato una sudata sessione di prove.

Mmmmmh no. Facciamo che siamo a Padova ma il resto lasciamolo. "Non posso stare Senza Di Te": un sound grasso e grezzo, incessante, a volte robotico, figlio illeggittimo di una - sconsiderata, benevola, rossastra - mezza idea garage trasformatasi poi, incestuosamente, in qualcos'altro. Qualcosa di molto più Oneideggiante e folle. Niente sound sognante ma molta realtà. Niente "angeli caduti da un sussurro di cielo", solo pioggia acida e gente contaminata: viola, lucente, ignara anche della loro esistenza. Un fuzz incasinato che mischia tutto, una distorsione che attraversa la spina dorsale, un suono sperimentale e in continuo movimento. Non c'è una voce che sussurra parole dolci. Metal, elettronica, progressive, rock nudo e crudo con in più in aggiunta come omaggio della casa un profumatissimo etto e mezzo di sfrontatezza punk fresca fresca e appena tagliata con l'accetta.

Vi piace il rock selvaggio? Ascoltate questo disco. Il basso penetra, trivella e scava.
Vi piacciono le idee che cercano di metterlo in culo all'Italia di Sanremo? Bene, accomodatevi e fate come a casa vostra allora. La batteria diventa un tutt'uno col pulsare del vostro sangue e per un attimo scorgete la vostra vera natura tribale. Si, nella vita precedente eravate il tatuaggio disegnato sulle chiappe di un orco neozelandese.
Vi piace lo sguardo assassino di vostro zio mentre si appresta ad uccidere il maiale? Cercate di arrivare a questa musica perforante. A questo punto la chitarra diventa ipnotica, si spezza, e stende un tappeto rosso sotto ai battiti di un'elettronica digitalizzata nel centro della più grande megalopoli dell'universo.

Voi dondolate un pochino. Diffondete questo verbo e il sottosuolo sonoro selvatico sarà più fertile di prima, ma sappiate sin da ora che niente però cambierà in apparenza. Le stelle continueranno a cadere nei pozzi, io seguiterò a leggere Carver sognando in modo minimalista (o Gregory D. Roberts e quindi a sognare e basta), il tempo non salverà la vostra anima e la voce di vostra madre continuerà, imperterrita, a sanguinare dal soffitto. Silenzio. Uno schizzo bluastro sullo specchio; il gatto che scappa via e voi che guardate dentro a quello specchio non riuscendo a vederci niente di particolarmente interessante. Sospirate e premete il tasto play sul lettore. Da adesso la vostra gabbia non è più un luogo sicuro. Here Comes The Action. Here Comes At Last.

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