Dopo aver modulato e plasmato suoni provenienti dalle più disparate fonti, analogiche o digitali, Sascha Ring (in arte Apparat) approda al suo archetipo musicale finale con "Walls".

Smaltite le sbornie da dancefloor etereo che lo portarono alla pubblicazione dell'ottimo "Orchestra Of Bubbles", in collaborazione con Ellen Allien, il produttore tedesco sintetizza una forma musicale lontana da concettualità dinamiche e, quindi, improntata su di una sorta di stasi onirica. Il tessuto sonoro è informe, ambientale e totalmente amalgamato ad un'idea, nemmeno poi troppo lontana, di Dream Pop.

"Walls" è immediato, ma anche lontano. Lascia gongolare fin da subito, entra nei tessuti e dopo inizia a dipanarsi, come tutti i buoni virus. La ninna nanna che scaccia via i demoni ("Over And Over"), la perdizione nei rossi fiori del male ("Fractales Pt.I" e "Fractales Pt.II"), le calde carezze di una ninfa ("Like Porcelain"). E, siccome le parole sono importanti, "Arcadia" ed "Holdon". Ritmiche e percezione. L'arte di Apparat trova qui la propria sublimazione melodica, mai così a fuoco e mai con questa costanza. Come dire: la verità si ritrova sempre nella semplicità.

Ciò che manca qui, però, è forse proprio la confusione primigenia che caratterizzava opere come lo svalutassimo "Multifunktionsebene" e "Duplex". Rimane invece quella sensazione di stordente impassibilità. Sascha la conosce bene la stasi.

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