April Wine è una formazione canadese proveniente dalla Nuova Scozia, dedita ad un hard rock che mischia insieme lo stile asciutto e "motoristico" dei limitrofi Stati Uniti del nord-est (con Detroit quale centro focale, metropoli dove ha preso le mosse gente come Alice Cooper, MC5, Grand Funk, Ted Nugent, Bob Seger...) con il più sornione e appoggiato stile Southern Rock, altra forma tutta americana di rock blues nata però tremila chilometri più a sud, tra Florida Alabama e Georgia.
La componente Southern della musica di questo quintetto è assicurata dalla presenza di ben tre chitarristi, i quali si prodigano in assoli incrociati e parti soliste in armonia com'è tipico di quel genere; inoltre vi è un certo, caratteristico uso della chitarra slide, nonché la tendenza a buttarla sul country nelle ballate, ed infine quella capacità e voglia tutta americana della sezione ritmica (basso e batteria) di swingare con il ritmo, dare ad esso un groove caldo e fluido, qualcosa di non così facilmente spiegabile a parole ma che da sempre distingue il buon rock americano dal buon rock europeo, altrettanto interessante se non migliore beninteso (specie a livello di originalità ed estro), ma mai così "rotondo" e rotolante come riesce ad essere al di là dell'Atlantico.
Pressoché sconosciuti in Italia, questi signori sono stati capaci di tirare fuori sin qui più o meno una ventina di album in quarant'anni e rotti di carriera, essendo questo il loro settimo, datato 1978. Figura centrale ed indispensabile della band è Myles Goodwin, fertile compositore, buon cantante e chitarrista, anche pianista e tastierista quando ve n'è bisogno. Tutti gli altri sanno tenere in mano altrettanto bene i loro strumenti, ma il gruppo non tende quasi mai strafare, gli assoli essendo per lo più misurati e le canzoni durando tutte i soliti quattro minuti o giù di lì.
L'episodio più in evidenza si intitola "Roller" ed è a ritmo di shuffle (terzinato), bello carico e trascinante, con una porzione strumentale molto ben congegnata, nella quale i tre chitarristi si scatenano passandosi a turno gli assoli, prima a giri di otto battute, poi quattro, poi due e poi una, nonché armonizzandosi insieme a due o anche tre alla volta. Veramente trascinante questo pezzo, loro cavallo di battaglia ai concerti.
L'efficace voce del leader Goodwin (anche produttore) risplende nell'episodio di apertura "Get Ready For Love", un poco scolastica ma impreziosita anche da un bel lavoro di slide guitar. E' uno dei pezzi del lato "sudista" del repertorio, immediatamente smentito dal successivo "Hot On The Wheels Of Love", che ha proprio tutto, dal titolo alle sirene della polizia alle sgommate alle chitarre tostissime al basso nodoso ed esasperatamente compresso, per essere associata ad Harley Davidson e decappottabili in corsa lungo una delle interminabili autostrade americane.
Un paio di ballate (una con un'armonica da urlo, maneggiata dal chitarrista e cantante di rincalzo Brian Greenway ed intitolata "Rock'n'Roll is A Vicious Game") come da collaudatissimo canone servono a stemperare la corsa, ma non l'intensità e soprattutto la costante buona anima delle esecuzioni. In "I'm Alive" e poi ancora in "Let Yourself Go" gli April Wine fanno il verso preciso ai Foghat, gruppo inglese della prima ora, con radici nella Londra fine sessanta dei Cream e dei Savoy Brown, che fece fortuna e proseliti solo una volta trasferitosi negli USA: la somiglianza è impressionante, con quell'eco slapback sulla voce mutuato dal rockabilly e in generale dal rock'n'roll primi anni sessanta.
Il cupo e minaccioso blues rock finale "Silver Dollar", resa strascicata dall'effetto di flanger messo un po' dappertutto, chiude l'album esibendo spessissime fanfare di chitarre in unisono, acidi assoli col wha wha, campane rintoccanti, vibrati infiniti sulle tastiere.
In sostanza la band in questione non sprizza certo personalità ed estro innovativo, ma è in grado di fornire rock energico e sano, sempre col cuore al posto giusto e il "tiro" giusto, prerogativa non di tutti.Carico i commenti... con calma