Per chiunque abbia bisogno di fumarsi una sigaretta, in piena notte, passeggiando nel freddo invernale di una città deserta… per chiunque abbia la necessità di chiudere gli occhi ed immaginare di essere qualcun altro da qualche altra parte o semplicemente per chi abbia voglia di farsi raccontare delle storie, i cui “personaggi sono genuini ed ogni riferimento a persone vive o morte è puramente voluto”.
La voce alcolica e fumosa di Aidan Moffat sembra incespicare ad ogni parola, sospinta dalla forza di non volersi rassegnare mai ed attraversare la nebbia, fitta ed umida, che ti penetra fin dentro i pensieri, prodotta dalla chitarra (e dagli aggeggi elettronici) di Malcolm Middleton. La forza che ti viene anche quando vorresti lasciarti cadere, lì, proprio lì e non importa dove sei; ma che ti permette di portare ancora una volta a casa le ossa… stanche dopo una sbornia colossale.
“Philophobia” è un disco notturno, a tratti oscuro e misterioso… rarefatto. Non ci sono tinte forti, non si va mai fuori dai binari, non suona mai chiassoso, ma è dipinto con una vasta gamma di grigi e di chiaroscuri.. 13 scatti fotografici di vita quotidiana, confezionati con un minimalismo sonoro che evoca più le opere di Sherwood Anderson e Raymond Carver musicate per uno script cinematografico, che il post-rock o il pop-raffinato con cui viene spesso etichettato…
“le ho tolto i vestiti ed ho giocato con lei per un po’ e lei ha fatto lo stesso, ma mi ci è voluta un’ eternità per venire. Troppo vecchio e quasi ubriaco… Non c’è niente come mentire… Ho detto a Laura: - Spero ti conoscerò per sempre e quando me ne andrò, voglio farlo alla maniera dei vichinghi. Sdraiami in una barca con le mie cose più preziose, incendiami e mandami per la mia via. Donami con un calcio al mare-”.“Philophobia” è un disco per chi non ha fretta, per chi non è costretto a vivere con angoscia le luci del giorno… per chi non ha voglia di andare a dormire.
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