Mancava solo la colonna sonora ideale per l'autunno. Qualcosa che si accompagnasse al film che puntualmente, ogni anno, si presenta su quello schermo freddo che è il mio parabrezza appannato: la nebbia immobile sospesa a mezz'aria, le foglioline che scelgono di morire fra un tergicristallo e l'altro, la luce dei lampioni che si gonfia come una fila di crisantemi bianchi. Sempre lo stesso film, ogni anno... ma è uno di quei film che non mi stancherò mai di rivedere. Io gli darei l'Oscar, all'autunno. Un film muto. Ma se l'autunno potesse parlare, penso che avrebbe la voce di Aidan Moffat. Una voce sussurrata e profonda, pigra e malinconica, esattamente come suona in questo "Ultimo Romanzo" degli Arab Strap.
Un album che si discosta dai precedenti: una batteria vera questa volta, non più drum machine, e sonorità più mordenti e meno apatiche, più elettriche e meno elettroniche, mantenendo comunque quell'atmosfera sospesa e dolente che da sempre caratterizza il duo scozzese. Ed Aidan si conferma al solito un narratore d'eccezione, una voce fuori campo che presenta la trama di questo romanzo, fatta di dieci piccoli capitoli. Dieci storie di vita ordinaria ("you know I’ve felt like this before/I know you have felt it too"), di passioni ciniche ("come with me, but this is the last time/understand you’re no more than a pastime"), di rassegnato disincanto ("if there’s no hope for us then there’s no hope for anyone"), di sesso sbrigliato ("come round and love me/sigh and rumble above me/and we’ll make the noises we make/until we both laugh and both shake"). Ma anche - sorpresa - di sogni e speranze ("not everything must end/not every romance must descend/not every lover’s pact decays/not every sad mistake replays").
È questa la colonna sonora che mancava alla scenografia sul mio parabrezza. Entrambe decadenti e torbide, intime e riflessive. Il romanzo ideale per una sceneggiatura di mezza stagione.
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