Un tornado all'Auditorium: Arcadi Volovos. 

 Ogni pianista ha i suoi 'idoli', esattamente come si è fan di un cantante, di un gruppo. Non c'è nessuna differenza.

Il motivo credo sia nella capacità di rispecchiarsi nel carattere, nelle qualità interpretative nella visione di un mondo che emerge ad ogni nota, ad ogni scelta interpretativa, ad ogni crescendo e diminuendo. Ho ascoltato Volodos dal vivo nel I concerto di Tchajkovski anni fa e allora mi sono ritrovata nell'incapacità di stare seduta e ferma, travolta, stupita e ammirata dalle grandi capacità tecniche che ne fanno oggi uno dei virtuosi più apprezzati e applauditi, ma soprattutto completamente catturata dalla forza interpretativa, brillante ma capace di toccare corde profonde.

Volodos entra in scena come il cantante lirico che è stato, ma non si dà arie da gran virtuoso; schietto, autentico, estroverso, sicuro per lo studio paziente che, nonostante le grandi doti tecniche, sempre fa prima di un concerto. Fiero della sua libertà di scelta che lo porta a decidere il numero dei concerti da fare durante l'anno, perché non si può maturare, non si può crescere, non si può affinare una Idea, se si è costantemente impegnati a tirarla fuori, regalarla al pubblico, passatemi l'espressione, anche 'svenderla'.

E studiare non è solo passare ore al pianoforte, è sentire, vivere quello che si è chiamati ad interpretare, è trovarne i mille fili che inspiegabilmente ci legano a quel repertorio.

È fidarsi, immergersi completamente.

Sentir suonare Volodos, dal vivo, di nuovo, dopo aver seguito la sua carriera ed i premi per i suoi cd, averne percepito la maturazione anche a livello interpretativo, è stato respirare l'aria di alta montagna per la prima volta e a pieni polmoni.

Il 3° Concerto di Rachmaninov, indimenticabile Rach3 nell'interpretazione di Martha Argerich e Rafael Orozco, davvero ieri sera è stato come un ciclone, un tornado fin dalle prime note del tema iniziale.

Una delle melodie più toccanti.

Poche note, dolci, sommesse, di chiara derivazione popolare che anticipano, con un incedere sinuoso ed affascinante, l'intensità a volte magniloquente che caratterizza questo Concerto dove i temi si sovrappongono, nascono e confluiscono uno nell'altro come il procedere del pensiero in un rapsodico improvvisare.

Leggerezza e cantabilità, vezzo e poesia, stupore e meraviglia, gioco, ironia si sono rincorsi fino a lasciare il passo ad una coinvolgente passionalità che mai prima avevo sentito in Volodos, divampata nella cadenza che 'è' la 'Cadenza' , toccatistica nella prima parte e drammatica, potente nella seconda.

Non solo capacità e maestria tecnica, non solo capacità di far cantare ogni singola nota, ogni singola linea, ogni singolo dito, non solo potenza e resistenza, ma anche grande immaginazione musicale che hanno reso, quella di ieri sera, un'interpretazione memorabile forse quanto quelle della Argerich e di Rafael Orozco.

Ma non posso dire altro.

Sono stata completamente assorbita e sopraffatta da mille emozioni, trapassata da brividi, incapace di respirare, con il cuore impazzito in una danza e poi una corsa folle; per quaranta minuti ho pianto e riso, e le emozioni si sono fuse e confuse in quel tornado di note; tutto è sparito, la stanchezza di un nuovo percorso iniziato, le delusioni, le ansie; tutto è stato portato via da un impetuoso, incontrollabile tornado.

L'unico rammarico è aver sentito e percepito un'orchestra incapace di tenere il passo.

Ma come è possibile far suonare Volodos con l' ottantenne Previn? Non sarebbe stato meglio se a dirigere fosse stato Pappano?

Perché il Ponentino dei Castelli Romani, non può davvero tenere il passo del 'tornado VOLODOS'.

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