Gli Arcana, di norma, non hanno mai difettato in quanto a perfezione formale e compositiva, risultando sempre avvezzi alle sonorità più solide e piazzate dell'ambient atmosferico/medievale. Ciò nondimeno uno dei loro problemi principali è stato parecchie volte il giusto ed equilibrato abbinamento tra la salda compostezza e ciò che un ascoltatore interessato a questo genere particolare pretende prima di ogni altra cosa: il coinvolgimento emotivo.

Tale miscela si è rivelata ottimamente calibrata in alcuni album, come ad esempio nel convincente "Inner Pale Sun", nel quale vennero superati abbondantemente i limiti che da sempre impone l'uso dell'elettronica/industrial, ossia la mancanza di un vero impatto emotivo ed una certa staticità nelle strutture dei brani.

Questo "Raspail" (2008) invece, com'era previsto, non presenta alcun stravolgimento nel sound dei nostri svedesi, bensì ne approfondisce le tematiche in modo maturo e professionale, pur con un approccio tendente alla stagnazione. In effetti, quello che ci riserba "Raspail" è un rifinito groviglio di secchi beats ed un tappeto di desolata, oscura ed arida melodia che non poche volte pare piuttosto distaccata e chiusa in sè stessa. Maggior parte dei brani poggiano su legnose pulsazioni industrial, arricchiti da scrosci di tastiera che ora si fanno penetranti e monolitici ("Parisal"), ora cupi, ondivaghi e polverosi ("Autumnal"; "In Remembrance").

La track di apertura "Abkrat" delinea in pochi minuti l'essenza globale dell'album: non c'è pressochè nulla di etereo e sfumato tra le sistematiche e minimali orchestrazioni che fanno di "Raspail" un selvaggio labirinto di rovi ed inquietudine. Poche volte gli Arcana concedono all'ascoltatore di scorgere gli sfuggevoli raggi del sole che squarciano la fittissima e spietata vegetazione, esalando vanamente tiepide note subito soffocate dalla claustrofobia insistente ("Sigh of Relief").

"Raspail" congela chiunque si voglia avventurare nei suoi anfratti rocciosi e segreti, è imprigionato nei suoi misteri a noi inaccessibili e nelle sue emozioni recondite, non lascia respiro proprio perchè sembra non averne data la sua sistematicità innaturale e priva di un'anima, se non fosse per l'intervento dei cantanti che rendono più "umana" la scena con i loro druidici ed arcani vocalizzi, purtroppo anch'essi distanti e disinteressati.

Se volete immergervi nella gelida ed inanimata sacralità che regna sovrana in questa foresta spenta e ripudiata dal tempo, allora buon'avventura. Se cercate luoghi più pittoreschi ed ospitali, nonchè sognanti, non avete che da ascoltare il pallore risplendente di "Inner Pale Sun".

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