Sarebbe stato un vero peccato se “Sympathetic Resonance” fosse rimasto soltanto una parentesi. Ancora una volta passato e presente dei Fates Warning si ricongiungono, sempre approfittando di un periodo di pausa della storica band proto-prog metal (probabile un ritorno nel 2020), il chitarrista nonché mente principale della band Jim Matheos e lo storico cantante John Arch (con i Fates Warning nei primi tre album) si ritrovano e fanno ancora sul serio.
Qualcuno potrebbe essere portato a pensare che questo progetto sia uno spin-off dei Fates Warning piuttosto inutile, sia per il fatto che le sonorità richiamano molto quelle della band principale, sia per il fatto che i musicisti che vi collaborano sono proprio gli attuali membri della band (“Sympathetic Resonance” era praticamente un disco dei Fates Warning con la formazione attuale ma con il cantante storico), ma ci si sbaglia di grosso. Per la verità in questo “Winter Ethereal” i musicisti di provenienza Fates Warning (fra cui figurano anche gli storici Mark Zonder e Joe DiBiase) sono molto più “guest” che nel precedente, limitando le loro apparizioni ciascuno a poche tracce, in più vi troviamo anche diversi altri nomi, fra cui il batterista Thomas Lang, l’ex bassista dei Cynic Sean Malone e l’attuale batterista dei Leprous Baard Kolstad. Le intenzioni del progetto Arch/Matheos tuttavia sembrano piuttosto chiare: riesumare l’approccio delle produzioni anni ’80 dei Fates Warning mischiandole con quelle più recenti, far rivivere quella magia proto-prog metal (o tech-metal come spesso si diceva ai tempi) ma con un tocco che guarda anche a oggi, in generale con un livello tecnico superiore. L’assenza delle tastiere è già di suo un fattore che riporta indietro alle origini del sottogenere, ma a fare la differenza sono soprattutto i riff di chitarra incalzanti e frenetici, corti e martellanti, le cavalcate di estrazione power-metal, la poca melodia anche nei momenti più lenti e arpeggiati, l’atmosfera volutamente cupa e spenta, già riscontrabile nel titolo e nella grigia copertina; ma il duo non vuole creare una copia di “Awaken the Guardian” ed ecco che cerca di rendere quei riff un po’ più “aperti”, taglienti e puliti alla maniera dei Fates Warning più attuali.
Quindi no, non è un progetto inutile, qui Matheos può dare più libero sfogo alla propria creatività e alla propria tecnica, nonché proporre alcune sonorità che per la sua band principale risulterebbero obsolete ma trovano più senso in un side-project; la voce di John Arch sembra quella più adatta per questo scopo, ammetto di non amare molto la voce di Arch, troppo nasale e poco melodica per i miei gusti, quasi ringrazio il cielo per non essere stato scelto dai Dream Theater (sì, un’audizione per aspiranti cantanti dei Dream Theater l’ha pur fatta), ma per le esigenze di questo progetto una voce più classica e maideniana si rivela senz’altro più efficace di quella più melodica di Ray Alder; devo ammettere però che in un certo senso questo progetto me l’ha fatta in parte rivalutare, alla fine ha la sua buona dose di potenza.
Il punto di forza comunque lo individuo nella tecnica, Matheos e i suoi ospiti offrono una prestazione magistrale senza eccessivo esibizionismo, la potenza rimane in primo piano; le finezze strumentali di chitarra, basso e batteria abbondano ma non vogliono emergere, sembrano quasi nascondersi nel solido muro sonoro, si cerca di dare libero sfogo ai virtuosismi senza che il tutto diventi una vetrina costruita appositamente per i musicisti, tutto sembra un po’ come un muro dalla superficie ruvida che però appare liscio; ascoltando il disco infatti non si avverte mai un senso di masturbazione strumentale, l’ascoltatore che non prende la cosa troppo sul serio potrebbe notare la potenza e il dinamismo ma quasi non accorgersi dell’aspetto tecnico, eppure se si ascolta attentamente ci si accorge che i musicisti fanno cose mostruose. Per cogliere le molteplici sfaccettature servono numerosi ascolti, in cui bisogna concentrarsi per cercare di capire qual è il vero intento dei musicisti o anche solo per cogliere la minima sfumatura nascosta, è proprio così che sono arrivato a tutte queste conclusioni, all’inizio il disco potrà sembrare persino un po’ banale ma con il macinare degli ascolti si rivelerà poi una vera e propria perla moderna del technical metal.
A mio avviso uno dei dischi top dell’anno, lo metterei persino più in alto dell’attesissimo ritorno dei Tool, non esagero se dico che ho trovato più difficile metabolizzare questo disco rispetto a quello dei Tool, dei Tool conoscevamo le caratteristiche e non hanno fatto molto di più che confermarle semplicemente, qui invece ogni sfumatura è mimetica ed impercettibile, solo con numerosi ascolti si ha il quadro completo dell’opera, sicuramente un disco non per tutti.
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