Avete presente quella sensazione particolare che danno i dischi degli anni '90? Quei gruppettini "indie" che dopo i Pavement hanno colto lo scopo delle loro vite?
Gli Archers of Loaf, prendendo da quello che chi deve capire ha già capito, hanno sfornato un disco al quale non mi faccio scrupoli ad assegnare le fatidiche 5 stellette. North Carolina, 1993. Registrato e mixato in soli sette giorni, $5000 di budget. 1994. Il video di Web in Front (già solo ascoltare questa dovrebbe convincere a prendersi sto disco) viene sperculato da Beavis e Butt-head. Cosa ci può essere di meglio? Perfino i Crowbar arrivavano su MTV così, al tempo. Pazzesco.
Gli Archers si rivelano subito versatili, anche se legati ad una qualche forma pop, o comunque riconoscibile come struttura. Si possono citare Dinosaur Jr., Superchunk, cose così. Il suono di chitarra viaggia anche da quelle parti; la band prende queste influenze e le rischia ai rumorismi e ai riff dissonanti che potremmo ritrovare nei Pavement. Mediato da una componente pop, come ho detto, sviluppano un equilibrio raro tra il "sono fuori scala, cazzo" e il "mi scendono i brividi" (es. Learo, You're a Hole).
Non muovere la testa a tempo è davvero difficile, con cose di questo tipo: si avverte la gioventù e il profondo piacere dell'esprimersi, o almeno questo è quello che trasmettono a me. E' il tipico cd che vuoi masterizzarti e portarti in macchina d'estate. Quello di cui puoi abusare.
Ci mettono un po' di tutto. Sono ritmicamente vari, anthemici, non un tempo morto. Se amate l'indie, il pop bennato, il noise, il rock, questo disco fa per voi; troverete indiavolati sfoghi adolescenziali affogati nel garage (Sick File), sferzate noise urbane (Toast), pezzi Pop senza un difetto, roba alla Seam (la magnifica Wrong), perfino una traccia che denota un ascolto dei Faust, credo, o comunque diciamo mi piace perché lo credo (Hate Paste). Forse alla fine però la miglior descrizione è il pensiero del cantante e chitarrista Eric Bachmann: "Quando ascolto Icky Mettle, non posso trattenere un ghigno. Ma quello che piaceva alla gente al tempo forse era proprio questo". E' una sensazione che noi tutti proviamo, quando pensiamo ad un nostro vecchio atto, una vecchia risposta, un gesto, che ci sembrava bello e pregno di significato un tempo, e dal quale col tempo ci siamo allontanati, non lo sentiamo più nostro, o meglio è il fatto che fosse stato nostro che ce ne allontana, vogliamo separarci da ciò che non ha più rilevanza, specialmente se è un gradino di crescita, uno step necessario. Si rigetta il proprio vecchio io, si cambia pelle. E riguardando indietro vediamo null'altro che quel vecchio involucro, ora puzza un po', sa un po' di ridicolo, un po' di riparo violato, un po' di porta che si è chiusa. Anche per protezione verso ciò che abbiamo ottenuto, chiudiamo occhi e orecchie e ce lo lasciamo alle spalle, cerchiamo pure di nasconderlo, come fosse un fantasma o una vecchia vestigia fuori moda. Spesso proprio il suo essere vecchia, senza seguito, però, può provocare un'indulgenza ghignante piena, paradossalmente, di commossione. Chissà se alla fin fine non sia proprio quello l'unico valore che sia possibile dargli.
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