Spesso il titolo di un album è qualcosa in più di una semplice frase ad effetto, spesso dietro di sé cela secondi significati che solo l'ascolto dell'album può rivelare (e, no, non quelle cazzatine da gruppi che fanno il disco e lo intitolano col loro nome per dire nelle interviste che è il loro lavoro più personale, quanta banalità, porcatroia). Il "qui ed ora" degli Architects sta ad indicare lo stato attuale dell'evoluzione di un gruppo per cui i confini del metalcore iniziavano ad essere più stretti del previsto.

L'attacco del primo singolo "Day In, Day Out" mi ha provocato qualche dubbio. "No, ma questi sono davvero loro?". Il riff flirta decisamente più con il rock che non con il metal, Sam Carter canta pulito per più di metà del brano, l'unica cosa che rimane del loro passato è lo spettacolare lavoro alla batteria di Dan Searle che riesce a dare in ogni brano il suo personale tocco con partiture sempre interessanti. Uno potrebbe credere che adesso si torna al vecchio stile, ma il resto dell'album prosegue sulle stesse coordinate, mostrando un maggiore avvicinamento a sonorità più hardcore che metal (il probabile prossimo singolo "Learn To Live", quel pezzone clamoroso di "Btn", "The Blues") dove comunque Carter non si limita mai solo allo scream ma lascia sempre spazio al cantato pulito, dimostrando di essere ottimo anche sotto quel punto di vista. Tuttavia la vera sorpresa sta nei pezzi più lenti dell'album ("An Open Letter To Myself", "Heartburn") dove su chitarre mai così melodiche vengono inseriti elementi di elettronica ad arricchire la base. Nella seconda parte sui pezzi tirati si torna a sonorità più vicine ai vecchi (vecchi...cazzo, vanno per i 24 anni) Architects, anche grazie ad un paio di collaborazioni con Andrew Neufeld dei Comeback Kid su "Stay Young Forever", forse il pezzo musicalmente più vicino al passato della band, e Greg Puciato dei Dillinger Escape Plan sulla conclusiva e strutturalmente caotica "Year In, Year Out/Up And Away", che riavvicinano, almeno in parte, il gruppo di Brighton al vecchio suono poderoso del precedente "Hollow Crown". La produzione e il mixaggio di Steve Evetts (produttore storico dei Dillinger Escape Plan, che ha anche lavorato coi Cure) non fa perdere un briciolo di potenza all'album, che suona in questo senso in maniera praticamente identica al precedente, il che non è assolutamente un male, anzi.

La maturità raggiunta dai 5 ragazzi di Brighton ad una così giovane età è spaventosa, la coscienza dei propri mezzi e della direzione da dare alla propria musica non ha assolutamente paragoni nel resto della scena (ogni riferimento ai concittadini Bring Me The Horizon è assolutamente voluto), e pazienza se manca un'altra "Follow The Water", non si può pretendere un brano-capolavoro ad ogni album, e qui non ce ne sarà magari nemmeno uno, ma in compenso questo "The Here And Now" è pieno di ottimi pezzi. Il futuro della scena alternative metal inglese è "qui e ora", e gli Architects ne saranno negli anni a venire i protagonisti incontrastati. 

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