Mi sono sempre chiesto perché la maggior parte delle riviste musicali nostrane non diano attenzione agli Archive. Il loro precedente «You All Look the Same To Me», era sì in molte situazioni un plagio ai Floyd, ma era decisamente ben fatto, prodotto e emozionante (specie l’epica "AGAIN"). Mi sorprendo quindi di trovare il nuovo album in negozio, con una gran bella copertina e un provocante "NOISE" come titolo. Una svolta verso territori sonori più rumorosi ?
Dopo averlo pagato fior di quattrini, corro a casa e impaziente comincio ad ascoltarlo. Parte "Noise", un pezzo dal ritmo sostenuto ma fastidiosamente lungo e ripetitivo. Sì, le chitarre suonano bene, c’è un gradevole organetto Vintage, i soliti effetti Space e bla bla bla, ma di Noise non c’è la minima traccia. Guardo la Tracklist e trovo che il pezzo n° 2 del disco si chiama "Fuck You" , wow qui ci sarà uno sfogo di rabbia con chitarre distorte ! Niente affatto. Mi ritrovo ad ascoltare una banalissima filastrocca composta di insulti e dichiarazioni di odio in rima indirizzate verso un nemico reale o fittizio. A movimentare la filastrocca, il geniale autore ha pensato di intervallarla con un dosatisissimo riff di chitarra che sembra preso pari pari dalla versione di "Sweet Dreams" di Marilyn Manson.
Non aiutano certo i violini posti in finale a salvare la baracca. A questo punto divento abbastanza insofferente, e mi rendo conto che l’album é un susseguirsi di canzoni melense, banali, ripetitive e piuttosto autocelebrative. Non se ne salva proprio una. Non basta inserire qui e là una base elettronica, qualche arco o qualche effetto floydiano quando non ci sono le canzoni. Molto meglio i Cooper Temple Clause sullo stesso genere. E’ un peccato che i media italiani non parlino degli Archive (a parte il GQ naturalmente, che ve lo consiglierà). Avrei risparmiato 17 euro…
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