In dieci anni le persone cambiano, molte cose succedono e le cose difficilmente restano come erano. Nel 2005, gli Arcturus, i padrini dell'avantgarde metal, rilasciarono Sideshow Symphonies, un album che abbandonava in parte il sentiero che la band aveva intrapreso nell'ormai lontanissimo 1997 con La Masquerade Infernale, quello dello sfrenato sperimentalismo, continuato poi cinque anni più tardi con The Sham Mirrors, un album fortemente influenzato dalla musica elettronica, genere che sempre più si è insinuato nel post-black metal (si pensi ad esempio agli Ulver, che da The Marriage of Heaven and Hell del 1998 hanno del tutto abbandonato il black metal dei primi tre lavori). Con Sideshow Symphonies gli Arcturus si avvicinarono un po' più al progressive metal con qualche punta di symphonic metal: nulla di nuovo, sebbene fosse di pregevolissima fattura. E nel 2015, a dieci anni dalla loro uscita dalle scene, gli Arcturus sembrano riprendere la strada che avevano abbandonato.

La musica elettronica ritorna parzialmente protagonista in Arcturian (questo il titolo dell'album), come si nota subito dai primissimi secondi di The Arcturian Sign: quello elettronico è il primo elemento che ci viene proposto in questo nuovo lavoro e, dopo qualche secondo, fa il suo ingresso la batteria potentissima della leggenda (almeno per me) Hellhammer, che subito si destreggia con un lavoro di doppia cassa spacca-mandibola, accompagnato da tutti gli altri componenti della band. E giunge anche il momento di ICS Vortex, già voce in Sideshow Symphonies, con la sua voce molto particolare che sembra essere in continua evoluzione, grazie ad un largo uso del falsetto e, in qualche punto dello scream. Una buona canzone ad introduzione dell'album che, tra alti e (pochi) bassi; saprà regalarci delle belle soddisfazioni.

La seconda traccia, Crashland, è, secondo il mio modesto parere, la meno riuscita dell'intera tracklist, pur restando una canzone metal di tutto rispetto: l'unica sua pecca è di essere stata composta dagli Arcturus e non si dimostra al loro livello. Se fosse stata composta da qualche altra band, probabilmente sarebbe molto più apprezzabile, ma accanto ad altri pezzi della discografia arcturiana, sfigura e non poco. Nonostante ciò,è comunque abbastanza godibile.

Ed ora è il momento di uno dei miei brani preferiti di quest'ultimo album, Angst, che in norvegese, lingua in cui è cantata, significa "angoscia". E angoscoa è proprio quello che trasmette all'ascoltatore. Una canzone che affonda le proprie radici nel black metal, visto il largo uso dello scream e dei blast beat, e figlia, non c'è neanche bisogno di dirlo, di quella che è la canzone musicalmente più violenta del periodo avantgarde degli Acturus, Radical Cut, contenuta in The Sham Mirrors. In Angst la componente elettronica è meno presente che nelle due precedenti tracce, lasciando maggior spazio alle tastiere di Sverd, che riescono a costruire un'atmosfera assolutamente claustrofobica e ansiogena (ovviamente il merito non è soltanto suo, ma anche degli altri membri: si pensi alle urla quasi disumane di ICS Vortex). Una più che degna erede di Radical Cut.

Conclusa Angst e dismesse le vesti più estreme e black, l'elettronica torna a farla da padrone in Warp, insieme alle tastiere del già citato Sverd. E ancora una volta Hellhammer sforna un drumming da paura, vario come pochi batteristi sanno fare.

Le tastiere di Sverd sono ancora protagoniste nel capitolo seguente, introducendo un'altra grande canzone, anche se forse un po' più commerciale delle altre, Game Over. Le sue tastiere accompagnano la batteria della leggenda durante la prima strofa, dopo la quale subentra anche la chitarra di Knut in un buon assolo, anche se nulla di eccezionale. Riprende la seconda strofa: di nuovo il duo Sverd-Hellhammer accompagnano la voce di Simen Hæstnes, e la chitarra torna in scena solo verso gli ultimi versi di questa strofa, e questa volta non ci lascia più. Un cambio di ritmo, la seconda parte della canzone è molto più orecchiabile e commerciale, in una parola radiofonica, per quanto di eccellente fattura (magari tutte le canzoni radiofoniche fossero come questa...).

Torna di nuovo l'elettronica in Demon, la migliore, fino ad ora, insieme a The Arcturian Sign (secondo il parere di chi scrive): qui non c'è molto per il metal per come lo conosciamo. La musica elettronica è la protagonista indiscussa di questa canzone: l'unico elemento metal è lo scream di Vortex, la cui voce in clean è sempre filtrata. Non c'è molto da dire di questa canzone: non sarà di certo una delle migliori composte dagli Arcturus fino ad oggi, ma non è molto lontana dai capolavori presenti in La Masquerade Infernale o The Sham Mirrors.

Un violino, campane, su un tappeto di tastiere: questa è la cupa intro di Pale, altra canzone che abbandona per qualche minuto la musica elettronica per ritornare su sonorità più strettamente metal: anche in questo caso, niente di originale. E' un'ottima canzone più prog/symphonic metal con qualche richiamo alle radici black della band che avantgard. Per quanto mi riguarda, la parte migliore della canzone è quella finale, quella più estrema, con un Vortex filtrato mentre canta in scream.

Ed ora, signore e signori, il brano migliore dell'intero album, più bella anche di Demon. Un brano che io oserei addirittura inserire in un'ipotetica lista di capolavori arcturiani: una canzone molto calma (cosa che da un gruppo come gli Arcturus non ci si aspetta facilmente), quasi ambient, di sicuro la più avantgarde dai tempi del pluricitato The Sham Mirrors. Sto parlando di The Journey, una canzone che potrebbe diventare facilmente una droga: se la si ascolta più di una volta di seguito, non si smette più di ascoltarla. Una canzone che serve a rilassare i sensi, dopo un'abbuffata di violente sfuriate prossime al black metal, di musica elettronica e di prog/symphonic di pregevolissima fattura. The Journey è, per me, un capolavoro.

Dopo qualche minuto di relax, ci ri-immergiamo nelle atmosfere oscure di The Archer. Anche in questo caso non c'è molto da dire: è una buona canzone ma non ai livelli che ci si aspetta da una band come questa. Nulla di nuovo, sebbene sia molto godibile.

Bane, l'ultima canzone dell'album, la seconda in norvegese, è un ritorno alla teatralità che ha caratterizzato IL capolavoro degli Arcturus, La Masquerade Infernale, con un Simen Hestnæs che riprende lo stile usato da Garm nel succitato album. Altra ottima canzone, che serve, e questo è più che lapalissiano, ad accontentare i fan che sono affezionati a quell'album.

In conclusione, Arcturian è un buon album, una via di mezzo tra gli Arcturus più avanguardisti e quelli più "mainstream" (passatemi il termine) di Sideshow Symphonies. Ma siamo ancora lontani dal sentire nuovamente un gruppo sperimentale che si inventa qualcosa di nuovo ad ogni nuova canzone. Se con La Masquerade Infernale e The Sham Mirrors ogni ascolto è diverso da quello precedente grazie alle migliaia di idee nuove e, perchè no, strambe che riusciamo a scoprire di volta in volta, a questo Arcturian bastano un paio di ascolti per assorbirlo, almeno a grandi linee, perchè non è stata apportata nessuna sostanziale novità. Detto questo, resta comunque un album ottimo.

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