Sensazioni confuse, o meglio difficilmente afferabili, desideri repressi da una morale che ti vuole schiavo dei tuoi desideri, dei tuoi mediocri desideri. E’ questo il senso della grande opera degli Area che stasera riascolto per l’ennesima volta.
Un “disco progressive”, che difficilmente può essere lasciato andare, e difficilmente si può resistere (!) alla tentazioni di coglierne ogni singola sfumatura. Prendi il potere, cogli l’essenziale: tutte le utopie (?) degli anni 70 sono probabilmente raccolte in questo disco, suonato meravigliosamente. E non è facile riassumere questi concetti che sfuggono in poche parole, nelle poche righe che probabilmente molti criticheranno aspramente: perché gli Area (International Popular Group) hanno saputo riassumere, destinando la propria opera ai pochi che non hanno perso la propria animalità: e solo pochi – anche oggi - riusciranno a capirla.
Senza contare che è assolutamente necessario liberarsi dalla dipendenza della prima traccia, il pur bellissimo e rispettabile "Luglio, agosto, settembre (nero)", che tanto ha tormentato gli ascoltatori "superficiali" (con rispetto parlando), e che (forse improponibile oggi, 2006, e se siamo tutti omologati sembra quasi un complimento) dovrebbe essere riscoperto dalla generazione-X, che sa di non poter raggiungere i propri “ridicoli” ideali. Perché è assolutamente necessario ascoltare tutto il resto, e DOPO la prima traccia: superare se stessi.
Altrimenti si rischia di sminuire il capolavoro: "il vento mi ha detto che morirò". Bellissime le orchestrazioni dei suoni, sublime la tecnica, un’opera veramente completa che a nessun appassionato del genere, disposto ad aprire le proprie orecchie all’ avanguardia (?), dovrebbe mancare. Perché il vero senso delle parole dei testi (cui Stratos presta la propria voce, senza peraltro esserne autore) è la repressione dei desideri, il lugubre conformismo che ancor oggi ci costringe ad essere neutrali, apatici, senza cuore, ci spinge a diffidare dalle novità, dalla bellezza delle cose in sè, a non saper capire (nostro malgrado) il senso di quanto viene trasposto in musica - come viene espresso nella vita.
Lo so, voi cercate un genere: se proprio volete, potremmo definirlo “jazz-progressive-avantgarde-rock”. Ma il fatto stesso di scrivere di opere “perfette” e “complete” come “Arbeit Macht Frei” (o “Consapevolezza”) fa perdere in effetti la forza espressiva che esse possiedono. Bisogna ascoltare dall'inizio alla fine, anima ed occhi aperti, perché "nelle tue miserie riconoscerai il significato" di un lavoro del genere.
Gli Area non soltanto crearono con questo disco un’opera degna di essere vissuta, ma stabilirono che non aveva più importanza decidere sulla nota precisa da inserire nello spartito, perché ognuna di quelle maledette singole note doveva essere “vissuta”, e basta. E dietro le (apparenti) barricate che si nascondono dietro “L’abbattimento dello Zeppelin” – con chiaro riferimento al “quasi” omonimo gruppo hard rock - si cela un lavoro “miscela-anima”, “risveglia-coscienze”, che dovrebbe fare riflettere noialtri “ascoltatori di musica”.
Perché il re è nudo, il servo balla con il re, la musica "colta" (?) si miscela alla perfezione con la popolare, e niente sarà mai più lo stesso... Perché noi giochiamo col mondo, mentre lo facciamo a pezzi, e nel frattempo non ci rendiamo conto che quello che cerchiamo – parafrasando un grande filosofo – cammina da sempre accanto a noi...
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