Questa ennesima recensione (magari poi mi limito un poco) prende le mosse dall’ennesimo acquisto di una superba ristampa in vinile 180 gr., incisa direttamente da rimasterizzazioni di ultima generazione, che una volta messa sul piatto a volume adeguato ha replicato in modo notevolissimo (ma non del tutto inatteso) un’incisione del 1974, neppure particolarmente curata all’epoca della registrazione e del missaggio. Una volta messa sul piatto, voglio dire, ma solo quando il resto della famigliola si era dileguato a vario titolo, perché questo non è un disco da far suonare per intero soprattutto in presenza della moglie (a meno che non siate sposati con Carla Bley… complimenti. Vi capisco, ma mia moglie è più bella).

Quando gli Area arrivano al secondo LP, il primo è calato giù a piombo nel panorama effervescente ma tutto sommato rassicurante del pop italiano, come si chiamava allora (ricordate la rivista ‘Gong’?). Non è neppure vero, perché già ci sono state realtà musicali assai inquiete o addirittura estreme – il Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza, per esempio – ma non se le è cagate nessuno ed ora fioccano i dischi progressive e cantautorali, beninteso di ottima fattura.

La storia degli Area racconta invece di musicisti provetti, costretti alla gavetta nelle balere per tirar su quattrini ma dalle preferenze musicali assai diverse, dediti alla musica contemporanea ed alla frangia più politicizzata ed estremista del free jazz. Musicisti dichiaratamente incazzati (Stratos insisterà sempre molto sul punto) perché hanno dovuto suonare troppo a lungo la musica che hanno imposto loro i padroni, e ora possono vendicarsi tramite gli album che uno sconsiderato di nome Gianni Sassi consentirà loro di realizzare senza vincoli di sorta.

Detto, fatto. Il cosiddetto International POPular Group scodella nel primo album un jazz rock assai intransigente, prossimo all’avanguardia, estremamente politicizzato e polemico nei testi e caratterizzato – oltre che dalle ardite soluzioni strumentali dei virtuosissimi musicisti – dalla voce inedita e rivoluzionaria di un cantante di origine greca, che oltre a vocalizzare in modo particolarmente libero ed espressivo è in grado di sparare fonemi, e trilli, e colpi di glottide di rara potenza, avendo elaborato tecniche rivoluzionarie di emissione della voce sino ad arrivare alla diplofonia ed alla triplofonia. Il disco è bellissimo e seminale, ma in prima battuta desta sconcerto, è pieno di caos e rumore e non mancano i critici che bocciano l’esperimento, oppure scomodano confronti con i Soft Machine per affondare la nuova velleitaria formazione italiana.

Gli Area reagiscono in modo assai piccato alle critiche, ovviamente stupide (col senno di poi) ma un po' c’era da attenderselo, è musica difficile e richiede tempo per essere capita e apprezzata. A loro invece il culo rode moltissimo, e non hanno intenzione di andare per il sottile, ed anche se la formazione cambia con la rinunzia al contributo dei fiati di Victor Busnello (inaffidabile) non cambia affatto l’attitudine musicale e politico-culturale, e il gruppo si propone di rispondere tirando calci nelle palle.

L’incazzatura peggiora notevolmente con la defezione di Patrick Djivas, che una sera – avendo capito da che parte sta per girare la giostra dei soldi – pianta baracca e burattini ed accetta di punto in bianco l’offerta di Franz Di Cioccio, lasciando il gruppo senza bassista proprio alle soglie del secondo album. Gli squattrinati ma orgogliosissimi Area non gliela perdoneranno mai, e non perderanno occasione di rinfacciare il tradimento a Djivas ed alla PFM, ma intanto faticano a trovare l’ennesima sostituzione e debbono ricorrere più o meno all’inganno, promettendo al sensazionale turnista Ares Tavolazzi (che tiene famiglia ed avrebbe bisogno di sicurezza economica) uno stipendio sicuro all’interno della band, il che ovviamente non è vero e non accadrà mai.

Il quintetto così costituito entra in sala carico e ferocemente determinato: anche l’ultimo arrivato ha capito che il gruppo non farà mai una lira, ma la loro musica ed il comunismo sono tutta la loro vita. Gli Area rispondono alle difficoltà ed alle incomprensioni con un disco inconcepibile, che fa sembrare il primo un raccolta dello Zecchino d’Oro e chiarisce ruvidamente la loro vocazione e la loro rabbia: free jazz senza mezzi termini, arricchito dalle possibilità della strumentazione rock ed infarcito di avanguardia rumoristica e concettuale, terrorismo sonoro e sperimentazione violentissima, l’elettronica di Paolo Tofani e le acrobazie verbali e canore di Demetrio Stratos. Il piano elettrico ed i sintetizzatori di Fariselli omaggiano per tutto il disco le esperienze elettriche di Miles Davis e di Herbie Hancock (quello alieno di ‘Sextant’), mentre Tavolazzi e Capiozzo (insieme a Furio Chirico il miglior batterista italiano) pulsano e picchiano per ogni dove, liberi e svincolati da ogni regola; da parte sua Paolo Tofani, che ha incamerato a Londra una discreta esperienza nel campo dell’elettronica musicale, imperversa tra musica concreta, sonorità industriali e frasi velocissime di chitarra acida e nervosa.

L’album è breve e perentorio, ed è compilato secondo una difficoltà crescente di ascolto. In apertura l’unico brano vagamente fruibile, il famoso ‘Cometa Rossa’, ma si tratta in realtà di una serie di scale e rapidissimi fraseggi all’unisono che ricordano la tradizione macedone e centroeuropea, in tempi dispari diseguali e spezzati, interpolati da un suggestivo arpeggio di chitarra sul quale Stratos intona un testo in lingua greca (!) con incredibili trilli e salti di ottava. (Andiamo avanti, si sarà detto l’ascoltatore ignaro ed ottimista). La successiva ‘ZYG (Crescita Zero)’ (ZYG sta per Zero Year Growth) propone una breve sezione iniziale di rumoristica industriale, rotta dalla voce robotica di Demetrio, dopo di che non è altro che free form irregolare, episodicamente radunata intorno ad un riff minimale di chitarra (in questo pezzo Tofani sembra davvero John McLaughlin) sino ad una conclusione solo un poco più distesa, affidata al pianoforte di Fariselli ed ai fraseggi inusitati di Stratos, che non appare affatto inibito dalla mancanza in tutto il disco di veri e propri testi da cantare.

Gli otto minuti di ‘Brujo’, che chiudono la facciata, sono idealmente figli delle sperimentazioni davisiane e del Fender piano di Chick Corea ed alternano fasi più esplorative a vere e proprie esplosioni free jazz. Il brano testimonia di una delle migliori prove su disco di Ares Tavolazzi, che tipicamente utilizza il contrabbasso acustico e si rivela strumentista di eccezionale tecnica, presenza sonora ed ispirazione. (Giriamo il disco, deve essersi detto perplesso il medesimo ascoltatore).

La lunga ‘MIRage?Mirage!’ apre il lato B con una ingannevole parvenza di quiete, un crescendo lontano ma demoniaco e spiritato, direttamente riconducibile alla musica contemporanea e popolato da effetti vocali di diplofonia, che lascia il posto ad una strepitosa improvvisazione jazzistica in puro stile Davis / Hancock – uno dei momenti più belli dell’album – prima di collassare nella declamazione da parte di Demetrio Stratos di vari testi in contemporanea (tra cui una recensione negativa di ‘Arbeit Macht Frei’: non hanno perdonato!) che parte da un sussurro inaudibile per arrivare alle urla sciamaniche. Una nuova sezione strumentale, dominata dai sintetizzatori, chiude senza risolvere questo brano sperimentale ed intransigente, che prefigura le improvvisazioni concertistiche di ‘Are(A)zione’ e resta il più inquietante e sinistro mai inciso dagli Area.

Nel crescendo concettuale dell’album, che ormai anche il nostro ascoltatore ottimista ha sgamato, la bruciante conclusione collima perfettamente con i temi politici e musicali di ‘Caution Radiation Area’: in un omaggio sovversivo ad Ulrike Meinhof, condannata da un tribunale tedesco ad essere lobotomizzata, gli Area propongono la loro versione di cosa è ‘Lobotomia’ nel 1974 in Italia. Paolo Tofani scatena selvaggiamente il ring modulare del sintetizzatore e produce quattro minuti filati di assordante ‘white noise’, mentre una tastiera impazzita intona in dissonanza alcune sigle televisive in voga (si distinguono il Telegiornale e la reclame della China Martini) ed il volume e le frequenze crescono fino all’intollerabilità, per poi dileguarsi rapidamente in un sibilo minaccioso che chiude l’album lasciando un innegabile senso di malessere.

Quando i nastri dell’album sono completati, il manager Franco Mamone (che già ha sopportato male il primo disco) li ascolta senza parlare e poi sibila una frase rimasta storica nell’aneddotica del gruppo: ‘Mo’ so cazzi vostri’. Sbatte la porta e se ne va, rompendo ogni rapporto. Grazie a Gianni Sassi, boss della Cramps e membro virtuale degli Area, il disco esce comunque, e gode incredibilmente di un’ottima accoglienza tra gli estimatori del gruppo e gli ammiratori del progressive italiano. (Paese strano e meraviglioso, il nostro, in cui per una decina d’anni è stato possibile veicolare musica complessa e difficile, dai temi impegnati ed assai poco POPolari, riscuotendo un grande successo anche di vendite prima che le stagioni del disimpegno cancellassero in gran parte questo indiscutibile vantaggio culturale).

Un poco diversamente vanno i concerti, perché gli Area non sanno sedere sugli allori e non conoscono mezze misure, e sul palco spingono al massimo la leva della sperimentazione e della provocazione. Le improvvisazioni free di ‘ZYG’ e ‘Brujo’ raggiungono durate e contenuti impegnativi per il pur volenteroso pubblico, ma soprattutto ‘Lobotomia’ viene sparata a volume altissimo anche per venti minuti, al buio completo, mentre i quattro strumentisti non direttamente coinvolti nell’esecuzione sciabolano il pubblico con torce luminose di grande potenza e tutti si urtano e gridano e cadono, insomma un casino della madonna. Ogni tanto si scatena la rissa e gli Area prendono nota, e soprattutto prende nota Tofani, che un paio d’anni dopo evolverà il numero lanciando in mezzo al pubblico due cavi elettrici collegati al sintetizzatore ed invitando gli spettatori a chiudere il circuito prendendo i cavi e toccandosi, mentre il random noise va alle stelle e le frequenze salgono per effetto della resistenza. Si chiama ‘Caos’, un’esperienza sonora, tattile e sociale che il gruppo non includerà in alcun disco ma che è testimoniata in questo filmato del Parco Lambro 1976, https://www.youtube.com/watch?v=lOk7zWoDHrY.

La cronaca del 1974 non finisce qui per gli Area, che registrano anche un singolo allo scopo di raccogliere fondi per la causa comunista. La loro versione dell’Internazionale’ diverrà famosa e sarà commentata anche dal dittatore Ceaucescu, non esattamente affascinato dall’interpretazione. Il gruppo risponderà per le rime, ma questa è un’altra storia.

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