Un'uscita passata inosservata per questo 2011, poco rumore, poca pubblicità. Eppure il precedente ed omonimo cd di debutto della band americana era stato un vero e proprio gioiellino di heavy/doom. A due anni di distanza gli Argus sono tornati in studio sotto una nuova label, la nostrana Cruz Del Sur, per dare seguito ad "Argus".

I cinque membri della band, proveniente dalla Pennsylvania, sono guidati dal carismatico singer Brian Balich autore di un'ottima prova dietro il microfono. Lo stile di questo quintetto è rintracciabile nelle stratificazioni dell'heavy metal più roccioso con chiare cristallizzazioni epiche che rimandano a gruppi come Candlemass e Crystal Viper, seppur in "Boldly stride the doomed" il doom viene un po' relegato in secondo piano.

Senza timori reverenziali gli Argus si avventurano in composizioni potenti e prive di sbocchi sinfonici e orchestrali, come ormai accade per una larga fetta di band. Il loro stile è dannatamente retro, proveniente dagli anni d'oro del metal, gli anni '80. Chitarre che si intrecciano in riff aggressivi ma mai fini a se stessi e una sezione ritmica fluida e congeniale nel supportare le architravi sonore delle sei corde di Erik Johnson e Kevin Latchaw. Questo comporta una piacevole aria di ritorno al passato, ma allo stesso tempo limita le uscite stilistiche del cd, che rispetto al suddetto debutto è meno convincente, meno vario e di conseguenza meno riuscito.

L'heavy metal degli eighties è il padrone indiscusso di pezzi come "A curse on the world", "Wolves of dusk", "The ladder", "42-7-29". Dai tratti marcatamente epici è "Durendal" naturalmente ripresa dalla storiografia medievale, ispirata alla cosiddetta Rotta di Roncisvalle. Si sente l'influenza stilistica dei primi Blind Guardian e dei Maiden di "Piece of mind" e "Powerslave" in alcuni sprazzi, sintomo che la lezione old style è ancora da recepire appieno prima di giungere ad un ensemble perfettamente personale. L'album balzella così tra una qualità generalmente accettabile e la monotonia figlia della scelta poco variabile per quanto riguarda il songwriting, nonostante la lunghissima "Pieces of your smile" ci dica il contrario (non a caso quì si avvertono i primi veri rimandi al doom).

Nel complesso "Boldly stride the doomed" sottolinea i pregi dell'omonimo disco ma fa subentrare anche un difetto non da poco, l'immobilismo compositivo troppo spesso ancorato alle schitarrate dell'heavy metal che fu. Manca insomma un po' di inventiva, di coraggio.

1. "Abandoning The Gates Of Byzantium" (1:12)
2. "A Curse On The World" (5:25)
3. "Wolves Of Dusk" (6:34)
4. "The Ladder" (5:36)
5. "Durendal" (7:38)
6. "42-7-29" (7:06)
7. "Boldly Stride The Doomed" (2:37)
8. "Fading Silver Light" (4:45)
9. "Pieces Of Your Smile" (11:41)
10. "The Ruins Of Ouroboros" (3:19)

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