Non è facile definire la bellezza. La bellezza è un brivido, è una ipnosi, un incanto. Un sogno ad occhi aperti. Un magma di emozioni, di gioia, di appagamento, di paura, anche. Paura di perderla, di non averla più. Ecco, questo disco è innanzitutto bellezza. In tutte le sue forme. Bellezza ora algida, distante e inarrivabile, ora presente, fisica e focosa. Un disco jazz con sonorità quietamente espressioniste, un jazz che si nutre della formazione classica di Vassilis Tsabropoulos, pianista greco che sa fondere la poetica di Bill Evans con sonorità nordiche remiscenti di Grieg e Scriabin. Ecco, la bellezza è anche un incontro, un incontro dove, ad un poeta delle note come Tsabropoulos, si unisce il suono denso del basso di Arild Andersen e il drumming ispirato e soffuso del grande John Marshall.

E la prima traccia "Straight", non poteva avere titolo migliore. Perché la bellezza è la prima cosa che cogli in chiunque ed in qualunque cosa, arriva diretta, come in questo brano. Con il suo tema incantatore, orientaleggiante ed intimista. Ecco, si rimane così. Incantati, di fronte ad una bellezza eterea ed innarrivabile. Una bellezza che esplode irreale come un fuoco artificiale nella successiva "Pavane", dove la mano destra di Tsabropoulos irradia una melodia cullante di gelida bellezza, fatua ed impalpabile come raggi di un sole di Novembre. Onde di musica che si espandono sulle note corpose del basso di Andersen, con spruzzi di batteria gelidi e incantevoli come la prima brina.

Dopo l'inizio apollineo del disco, la musica si fa carne in "Saturday", brano reminescente di certe sonorità del quartetto "norvegese" di Keith Jarrett. Ma l'atmosfera ritorna rapidamente a sonorità meditative e rarefatte nei tre brani successivi, "Choral", "Simple Thoughts" e "Prism". Pezzi splendidi, soffusi, con un retrogusto amaro, come il ricordo di due occhi che hai amato ma che non ti brillano più nella nebbia della memoria.

L'atmosfera muta decisamente nella successiva e movimentata "Lines", dove l'improvvisazione la fa da padrone, le linee melodiche ad incrociarsi vertiginosamente tra i tre musicisti che danno sfogo alle capacità virtuosistiche in un brano traboccante di vitalismo. Di nuovo il mood si trasforma in "European Triangle", brano incentrato su un tema ripetuto ossessivamente al basso, una sorta di passacaglia bachiana travestita da jazz. Da ascoltare. Il disco si chiude in modo fiabesco con "Cinderella Song", sospesa fra fantasia e realtà, in una atmosfera da sogno irrealizzato. Con quel mood dolceamaro ed intimista in cui tutto è più intenso. E più intensamente bello. Come questo disco.

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