Quello che si nasconde dietro ad una copertina, a prima vista, abbastanza anonima (all'interno si capisce l'artwork), è un disco compatto e quadrato. Senza grandi picchi qualitativi ma senza nemmeno tonfi clamporosi, insomma non si avvicina al loro grande masterpiece "Symbol of Salvation" ( 1991), ma ne riprende i tratti essenziali, aggiornandoli al tempo odierno, ma soprattutto riconferma gli Armored Saint, quale uno dei migliori gruppi di metal americano di sempre.
Difficile parlare male degli Armored Saint, gruppo che ha sempre fatto della sostanza e della coerenza il proprio credo, composto da musicisti di prim'ordine e da un cantante eclettico che qualunque gruppo metal vorrebbe dietro al proprio microfono. "La raza" riprende il discorso iniziato nel 2000 quando uscì il disco delle reunion "Revelation", a dire il vero poco considerato. In questi lunghi anni non si è mai parlato di scioglimento, gli Armored Saint hanno continuato a fare alcuni tour e i propri componenti a seguire progetti personali, non ultimo proprio John Bush, cacciato e poi, a quanto sembra ripreso, dagli Anthrax (come si possa cacciare un cantante come Bush per riprendere Belladonna e fare una patetica reunion dei primi tempi, non è dato a sapersi).
E' proprio Bush il protagonista di questo nuovo lavoro, composto da dieci canzoni, registrate in analogico, come ai vecchi tempi. L'iniziale "Loose Cannon", dopo l'intro, lascia trasparire il carattere dell'album, canzone compatta con un grande lavoro di Gonzo Sandoval dietro le pelli. Le chitarre di Jeff Duncan e Phil Sandoval a rincorrersi e il basso del sempre grande Joey Vera, anche produttore del disco, presente e pulsante.
Se da una parte troviamo pesanti mid tempo come "Head on", e la canzone di lancio del disco "Left hook from right field", la velocità viene alzata in "Get off the fence" e "Little Monkey", mentre la titletrack "La Raza", fa da ponte con l'esperimento "Tribal Dance" presente in "Symbol of Salvation", soprattutto nell'apertura tribale. Tracce di hard rock blues in "Black Feet" e "Blues". In tutte le tracce, a dire il vero, pervade una sorta di ripresa di sonorità settantiane che però riescono a donare freschezza, perchè sapientemente aggiornate e ricamate dall'augola di un John Bush che sembra non sbagliare nulla. Voce ancora con pochi eguali, melodica ma capace di graffiare quando è il momento.
Un disco diretto, che riconferma gli Armored Saint come unici o quasi, superstiti di quel power metal americano, nato negli anni ottanta. Con il non indifferente pregio di aver saputo rinnovarsi senza cadere nel deja vù del passato, ma apportando sempre nuove, piccole ma importanti modifiche al loro sound. Disco nato certamente per cementare l'amicizia dei componenti del gruppo e per soddisfare la fame dei fans ma, si spera, per ripartire per un altro giro di tour, aspettando l'ispirazione per scrivere nuovo materiale, possibilmente senza dover attendere altri dieci anni.
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