Army Of Lovers? Concept album? No signori, non sono impazzito, o almeno non più di quanto lo sia abitualmente, e vi assicuro che un disco come "The Gods Of Earth And Heaven" può benissimo essere considerato tale con piena dignità. Tempo addietro avevo già avuto modo di parlarvi degli Army Of Lovers, stravagante e genialoide combo svedese capitanato dal vulcanico Alexander Bard; seppur per certi versi collocabili nel calderone europop/eurodance scandinavo tanto in voga negli anni '90, gli AOL presentano caratteristiche del tutto uniche ed originali, sia a livello di immagine che di proposta musicale che li distinguono nettamente dai vari Aqua, Ace Of Base ed altri simili, simpatici ma totalmente inconsistenti esempi di bubblegum pop usa e getta.

Dopo un esordio come "Disco Extravaganza" del 1990, esclusivamente dancefloor-oriented e quasi totalmente inservibile in qualsiasi altro ambito, Alexander Bard e soci conoscono il successo con "Massive Luxury Overdose", trascinato dai singoli "Crucified" ed "Obsession": un lavoro che mette in luce tutte le loro caretteristiche salienti: melodie ultra-orecchiabili infarcite di cori e pomposità simil-gothic e testi che mischiano sacro e profano, glamour e autoironia, stereotipi, lussuria e decadenza, il tutto corredato da un'immaginario visivo portato anch'esso all'estremo, all'esagerazione, al punto da travalicare il confine del pacchiano e diventare arguta, intelligente e spassosissima auto-parodia. "The Gods Of Earth And Heaven" riparte proprio da questi presupposti, aggiungendoci sonorità ancora più maestosamente caricaturali ed una struttura più ragionata e costruita, da concept album appunto; se Alice Cooper fosse gay e facesse pop-disco suonerebbe più o meno così.

Dopo il successo riscosso da "Massive Luxury Overdose" la carismatica e formosissima frontwoman Camilla Henemark abbandona il progetto con l'ambizione di perseguire una carriera solista (sarà un insuccesso e ritornerà all'ovile da lì a poco), ma per Alexander Bard ed il fido Jean-Pierre Barda, volto maschile (si, dai, più o meno...) del gruppo questo non sembra un problema, anzi, fuori una, dentro due: fanno il loro debutto negli Army Of Lovers la biondissima Michaela Dornonville de la Cour (che ci crediate o meno, questo è il suo nome di battesimo e, cosa ancora più incredibile, vanta una lontana parentela con la famiglia reale svedese) e Dominika Peczynski, versatile donna di spettacolo di origini polacche, rendendo così gli AOL ancora più somiglianti ai loro progenitori ed inspiratori, gli ABBA. Presentato con una veste grafica come al solito sobria e morigerata, "The Gods Of Earth And Heaven" mantiene esattamente quanto promesso dal titolo: un bel fritto misto di lussuria, frivolezza, decadenza, demoni, grand guignol, citazioni più o meno colte, filosofia e spiritualità. La novità più evidente rispetto al passato è la presenza di quattro brevi intro recitate su basi pseudo gotiche che enfatizzano ulteriormente l'aura di grandeur dell'album, tra cui spiccano in particolare "La Storia di O.", resa intigante dall'italiano con accento est-europeo di Dominika e "Chihuahuas On Parade", esilarante parodia della ragazza viziata in cui Michaela proclama solennemente: "When I was a little girl i would pray to God, not because I believed in God but because I wanted God to believe in me, why wait for heaven to experience glamour and beauty, I want it all and I want in now!". Arricchimenti rococò a parte, "The Gods Of Earth And Heaven" presenta una certa compattezza e coerenza stilistica, le canzoni, volutamente, ricalcano quasi tutte il medesimo schema: strofe parlate o declamate con alternanza tra le tre voci del grippo e ritornelli corali ultra-enfatizzati, con molteplici variazioni sul tema. L'apice stilistico viene raggiunto con l'elettronica ipnotica e quasi straniante di "The Ballad Of Marie Curie", originale e spiazzante omaggio alla celebre scienziata polacca e l'epica "Carry My Urn To Ukraine", carica di suggestioni e decadente immaginario sovietico, delizioso intruglio di gothic, turbo-folk dell'est europa e rap, un mix portato all'estremo dall'incalzante crescendo quasi cinematografico di "Sebastien", mentre "We Are The Universe" aggiunge al tutto una ruffianissima ma spassosa base latin-dance, "Blood In The Chapel" enfatizza ulteriormente la parodia dell'immaginario grand-guignol da film horror di terza categoria e "The Grand Fatigue" tratta il tema dell'anoressia molto più seriamente di quanto le sonorità ammiccanti a danzerecce lascino intendere.

Rientra perfettamente nei canoni dell'album anche "Israelism", che qui su DeBaser ha un grandissimo estimatore, boicottato da quegli insulsi cialtroni di MTV e tacciato addirittura di antisemitismo da gente con poco senso dell'umorismo, e magari anche ignara delle origini ebraiche di Jean-Pierre e Dominika, mentre gli altri due singoli se ne discostano leggermente, "La Plage De Saint-Tropez", omaggio alla frivolezza, al glamour ed alla dolce vita, che sperimenta i frizzanti intrecci vocali tipici dei primi ABBA e "I Am", dalle sonorità quasi chillout, più tranquille e rilassate, quasi eleganti, che offre un'altra grande summa dell'AOL-pensiero, "God created man from dust and man replied with sin and lust, eternal youth on solid ground, beauty makes the world go round". Tuttavia i picchi più alti di eccentricità vengono raggiunti con "Heterosexuality", la simulazione di un amplesso tra Jean-Pierre e Michaela su una straniante base elettronica quasi EBM e i ritmi tribali e primivi di "Sons Of Lucy", omaggio volutamente sgraziato e ripetitivo fino all'ossessione ai progenitori del genere umano, chiudendo in grande stile con "The Day The Gods Help Us All", visionaria composizione orchestrale intrisa di solennità e malinconia, probabilmente inspirata dai cori dell'Armata Rossa, epilogo perfetto per un album che fa dell'enfasi la sua caratteristica vincente.

"The Gods Of Earth And Heaven" non riuscì a bissare il riscontro commerciale di "Massive Luxury Overdose": troppo eccentrico, troppo di nicchia, fuori dagli schemi, tant'è che con il sucessivo "Glory, Glamour And Gold", che concluderà la loro breve e scintillante carriera discografica, gli Army Of Lovers torneranno ad un pop-disco relativamente più convenzionale, ma l'oggetto di questa recensione rimane il loro apice artistico, l'impronta più profonda lasciata dal passaggio degli AOL. Grandiosamente divertente e sarcastico, geniale nel suo eccesso barocco, " The Gods Of Earth And Heaven" è qualcosa di veramente alternativo e fuori dagli schemi, un'esperienza da provare.


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