Siamo all’inizio del 21esimo secolo: il mondo musicale intero è sconvolto dal piattume più inesorabile. Nell’industria discografica l’originalità è scomparsa e l’inventiva è ridotta ad un desolato cumulo di macerie... tuttavia il noise era sopravvissuto! A farsi portavoce dell’intransigenza rumoristica è Art-Lexus, al secolo Armando Greco from Bondì, frazione di Cisano Bergamasco, a poche centinaia di metri da P-O-N-T-I-D-A, quartier generale della decadenza leghistoide che tante menti ha purtroppo ottenebrato negli ultimi due decenni.

Dopo tre release il nostro non ha ancora voglia di darsi per vinto e sciorina una serie memorabile di perle grezze con l’ostinazione di un Glenn Branca più giovane e meno imbolsito. Una tenacia e una combattività davvero encomiabili spingono Lexus ad addentrarsi nei meandri più oscuri della psiche, senza concessione alcuna a suoni raffinati o quantomeno concilianti. Ciò che emerge dai solchi di questo "Blendergod" è soltanto squallore, desolazione, grigiore e impotenza di fronte ad una generazione post-industriale sempre più alienata e alienante. Non cercate la strizzatina d’occhio al dorato mondo delle produzioni arthouse perché Lexus non è un novello Trent Reznor armato di maglie a rete e pantaloni di pelle nero lucenti ad uso e consumo di ragazzine infoiate... qui c’è soltanto un onesto e crudissimo baccano da medioevo post-atomico. E allora, armati di orecchie al teflon, ci immergiamo nell’ascolto di queste nove tracce, che sembrano quasi volersi spingere oltre i confini della cacofonia più aberrante: le danze si aprono con una sequenza di scarne note di pianoforte, la minimale e angosciante "Oshi", circondata da rumori ed effetti di ogni genere che costituiscono il biglietto da visita di questo artista, da sempre appassionato delle più disparate sperimentazioni con oggetti. Su un battito elettronico regolare e metronomico si impernia invece "Dissents", figlia di quella lucida follia che caratterizzò certa new wave dei primordi. A farla ancora da padrone è il sottofondo di oggetti e ammenicoli di ogni tipo, non solo bizzarrie estemporanee ma veri e propri capisaldi dell’architettura sonora lexusiana.

Molteplici sembrano essere le fonti di ispirazione di questo folle alchimista sonoro: in "Noise and catharsis" (più che un titolo un manifesto programmatico) paiono rieccheggiare lontane reminiscenze del più lugubre Robin Lee Crutchifield e dei suoi Dark Day, mentre "Paths" e "Temptations" pagano il tributo ai quei momenti in cui i Sonic Youth abbandonano le loro scorribande monotonali per dedicarsi ad attimi di maggiore riflessività. In "Whirring thoughts" e "Diploma" (quest’ultimo conquistato da Art-Lexus con estrema fatica in un istituto all-female) appare il frullatore, notoriamente un oggetto da cucina che si trasforma però in un mortale strumento di tortura auditiva nelle mani di questo Arto Lindsay di provincia. A concludere il folle viaggio provvede "Shiva", un inferno di atonalità e ronzii strazianti, strati di macerie da cui affiora un tenue e struggente arpeggio di chitarra. E’ impressionante immaginare come la chitarra di Art-Lexus venga costantemente martoriata, vilipesa, violentata nelle più svariate maniere, senza ritegno alcuno per gli elementari concetti dell’armonia: pare che il nostro eroe abbia addirittura fatto uso della sua stessa verga pur di donare al mondo un suono il più possibile abrasivo. Risultato? I Dna vi sembreranno un gruppo di novizi sanremesi dopo aver ascoltato "Blendergod", probabilmente il lavoro che determinerà una rivoluzione copernicana nello stantio panorama del noise odierno.

Entrare nel mondo di Lexus risulterà all’inizio scomodo e irritante ma se vi avvicinate con cautela e spirito d’avventura a questa marmellata (anzi marmellone) di suoni e clangori metallici, non potrete più allontanarvene. Ma fate attenzione: tornare indietro sarà difficile perché Art-Lexus non concede spazio alle mezze misure: o lo si ama o lo si odia, e non vogliamo amarlo completamente, arrenderci all’adorazione panica di questa divinità rumorista. Egli è vivo e noi siamo tutti morti!

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