Angoli, angoli, angoli, perfetti, come in un bel progetto brutalistico. Ma anche curve, curve sinuose e giustamente bastarde, sterzate repentine a perdifiato giù per una gola urbana. Nessuna paura di mettere in primo piano i colori del basso elettrico accanto ai legni e a un piano puramente di colore. Nessun problema a spingere sul nobile pedale dell'espressionismo più onesto ma nemmeno una remora nell'ornare la musica di luci attente e di giochi di dinamica da musica da camera. Un perfetto macchinario sbilenco, in questo senso jazz, con un gusto per l'iterazione che potrebbe ricordare un progetto elettronico basato unicamente sul campionamento ossessivo di qualche compositore d'inizio secolo, un risultato malato, che coniuga l'urbano evocato dal basso ai retaggi prettamente bianchi degli archi, una specie di sguardo al futuro negli occhi di un Trakl, o chi per esso, inorridito dalla tentacolarità della metropoli moderna. Il giorno nel quale arderanno le città. Un blues bianco con una punta, forte, di catarsi dai lacci della consuetudine. Ma alla fine, coi piedi più per terra, un risultato molto meno universale di quello che si potrebbe capire da questa recensione, puri anni settanta distillati alla luce dei risultati più distanti dal pop E dalla polemica, dallo scandalo gratuiti. Nulla, alla fine, di eclatante; nulla di realmente nuovo, nulla di banale nè di facile. Ma alla fine anche modernità dell'ascolto, o meglio la freschezza che si può trovare in questo, forse, jazz free ma senza scollature e dada E in quest'arte moderna incarnata, appunto, in una struttura fissa, con ampi spazi dedicati alla dissonanza (o per essere più giusti: all'estro, alla libertà), regolata, dissonante il previsto, semplicemente fantasticamente atmosferica, adatta colonna sonora per l'artista preferito nel descrivere il moderno - o meglio, il contemporaneo. Il coraggio delle soluzioni, unito al seguito, scarno ma presente, di cui il gruppo ha potuto godere rende il disco, pur ormai vecchio, più rappresentativo dell'alienazione dell'urbano di uno nuovo, migliore magari, ma che non conosciamo (discorso che si può fare un po' per tutta l'avanguardia di oggi, forse acuta e dotata di mordente ma sofferente a causa dell'atrofizzazione del pubblico causata, anche, da progetti come questo e altri ancor più inospitali). Quindi alla fine conviene, per avere anche un riscontro di gruppo, volendo chiamarlo così, tornare a questi dischi, che cinquant'anni fa esprimevano le stesse cose che proviamo nel deserto delle città del ventunesimo secolo, forse in maniera meno accurata, per l'oggi, ma mettendo almeno un tanto di radice in una fessura del cemento armato di qualche fabbrica ancora in piedi e non persi e dispersi nel caos comunicativo odierno. Ancora.

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