Erano passati ben cinque anni da "Little Big Man" e Arthur Penn non aveva prodotto più nulla per il grande schermo. Uno dei padri della New Hollywood che nel massimo splendore di essa, nella prima metà dei '70, non dava segnali di vita dietro la macchina da presa. Il 1975 è l'anno del ritorno con un film, "Bersaglio di notte", di difficile classificazione e analisi, dove Penn lavora di nuovo su molteplici livelli, portando in avanti il suo personalissimo percorso di de-strutturazione dei generi che lo ha reso uno dei cineasti più importanti e innovativi di quei decenni.
Harry (Gene Hackman) è un investigatore privato che deve cercare e possibilmente riportare a casa la giovane Delly (un'altrettanto giovanissima Melanie Griffith). Il tumulto tra la sua vita privata e le complicazioni sul lavoro rendono il personaggio di Hackman un perdente incapace di reagire. Per comprendere meglio "Night Moves" va intrecciato il discorso filmico a quello storico degli States: da una parte il fallimento ormai conclamato dello spettro del Vietnam e dall'altro lo scandalo tutto americano del "Watergate" e l'incertezza del dopo Nixon. Hackman è l'America del caos dei seventies.
L'intreccio della sceneggiatura di Sharp ci porta sul doppio gioco della vita professionale e lavorativa di Harry. Un investigatore privato privo di particolare talento, consapevole della sua debolezza, acuita dai problemi con la moglie Ellen (Susan Clark). Un uomo in crisi di identità, come il suo paese destabilizzato da crisi interna ("Watergate") e crisi esterna (il Vietnam). Arthur Penn torna quindi a giocare con la storia americana per raccontarla con i personaggi che ne sono il prodotto ultimo e finito. Il genere, in questo caso il noir, che diventa veicolo attraverso cui il cineasta racconta la propria idea sul mondo e la società. Quello che fanno solo i più grandi.
"Bersaglio di notte" è una pellicola che non dice nulla allo spettatore, non da spiegazioni, non usa artifici per farsi comprendere. E' scarna e simbolica, fredda come lo stile cinematografico dell'epoca. I personaggi sono elementi simbolici per descrivere altro oltre la storia che viene messa in scena e la grandezza di Penn sta nel lasciar parlare immagini e attori, lui che ha saputo dirigere mostri sacri come pochi altri. Gene Hackman è il grande perdente degli anni '70 ed è perfetto nel rendere il suo personaggio solo e destinato a rimanerlo, incapace di tirarsi fuori da quel tunnel che lo sta affogando verso il completo annullamento, affettivo e professionale. Ma anche due giovanissimi come James Woods o la debuttante Melanie Griffith sembrano essere veterani da sempre dietro la sapiente gestione di Penn.
La "freddezza" quasi fastidiosa del film e il suo lavorare su simbolismi criptici rendono l'opera di Penn una delle sue più oscure e di difficile assimilazione. C'è lontananza dalla critica feroce di "The Chase", c'è distacco dalla forza epica di "Gangster Story" e "Il piccolo grande uomo", ma c'è nuovamente lo sguardo di un regista che mescola settima arte e politica, analisi della società e riflessione sui generi cinematografici.
Un altro capitolo del coerente tragitto narrativo e tematico di Arthur Penn, che con "Night Moves" firma di nuovo un'opera destinata a influenzare il cinema americano dei seventies.
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