Sinceramente mi è molto difficile comprendere cosa sia valido e cosa lo sia meno nell’ambiente metalcore odierno. Le produzioni nazionali e internazionali hanno alzato il livello tecnico e di produzione in maniera spaventosa rispetto alla fine degli anni ’90 dove questo genere iniziava a imperversare, arrivando a livellare la maggior parte delle uscite senza alcun picco di nota. Esempio lampante potrebbero essere questi As Mercy Comes, band campana che a due anni dalla nascita si presenta con questo “Prison”. Un disco confezionato su misura e che probabilmente farà felice la fanbase più giovane del quintetto: breakdown piazzati magistralmente in ogni brano, un cantato screamo monocorde che non lascia alcun spazio alla melodia, un uso moderato della componente elettronica e infine una produzione cristallina che rende omaggio al buon lavoro svolto al songwriting dai due chitarristi. Tutto bene insomma?! Diciamo più semplicemente nella norma: se ci si accontenta di avere a che fare con un disco metalcore 2.0 niente da obiettare, se siete invece soliti cercare produzioni più grezze e al tempo stesse meno patinate beh, meglio cambiare subito rotta. Il problema degli As Mercy Comes fondamentalmente è proprio questo, il riuscire ad andare oltre a uno stile che seppur moderno è ormai trito e ritrito vista la concorrenza nell’ambiente “core”. Brani sui quali poter strutturare qualcosa di più personale ce ne sono - “Monologue” e “Stay away” in primis – e visto il curriculum live con apparizioni al seguito di Darkest Hour e Thy Art Is Murder la domanda sorge spontanea: perché non andare oltre?!

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