Veramente dura recensire un album così variegato e complesso come questo di Asa-Chang & Jun Ray del 2002. Un disco che concede pochissimo alla piacevolezza dell'ascolto, tutto intento com'è a spiazzare continuamente noi ignari ascoltatori rimandando a citazioni, suoni e musiche in apparente contrasto tra loro. Un lavoro che rappresenta la summa ideologica delle due uscite precedenti del '98 e del 2001.
Il disco parte con la destrutturata "Hana" con un testo recitato sopra un caos di tablas, campionature elettroniche e un tema circolare di archi disturbato da brusii elettronici inclassificabili. "Preach" è una piece d'avanguardia un po' improbabile, con un tema da banda di paese suonato con la tromba (Asa-Chang) sopra un accompagnamento a metà strada tra la musica tradizionale giapponese e l'elettronica più ostica. Come se Nino Rota facesse da base a Amon Tobim, giusto per rendere l'idea. il terzo brano "Kobana" si sviluppa su una melodia gotica e decadente e un cantato deviante/to, simile a un vagito di una bambola horror, che farebbe felici i Radiohead ultima maniera. È un disco strano e completamente spiazzante, disturbante e per certi versi ostile a un ascolto distratto. Un disco per personalità disturbate e non allineate, questo è poco ma sicuro. Le canzoni (?!) si strutturano intorno a brevi motivi che vengono ripetuti con un effetto ipnotico allucinante. È il caso di "Goo-Gung-Gung", basato sulle percussioni quasi tradizionali giapponesi, o di "Kutsu", incentrato sul suono di oboe e flauti quasi tradizionali, entrambi a flirtare con le avanguardie elettroniche di ultima generazione. "Jippun" parte da un flauto dolce per approdare verso lidi di loop elettronici ipnotici e per niente rassicuranti. "Kokoni Sachiari" è il brano che più si avvicina a qualcosa di molto simile al drum&bass mentre il successivo "Tabla Bol Catastrophe" ci restituisce un classico brano indiano con tanto di tablas tradizionali su canto filtrato e tutto sommato "classico". Con "Radio-No-Youni" la frammentazione è totale: basi campionate, sitar indiani, strumenti tradizionali giapponesi, ocarine e strumenti a fiato improbabili, in un minestrone bizzarro ma suggestivo. L'ultima "Kutsu" ci fa riposare su basi di flauto dolce e deboli percussioni, del tutto inutile.
Per quanto lo si possa trovare suggestivo ed etereo, "Jun Ray Chang Song" resta soprattutto un disco di suoni e di impressioni abbastanza vaghe e indefinite, non riuscendo del tutto a farci percepire una linea di progetto che vada al di là della semplice sperimentazione fine a se stessa.
Originale senz'altro ma non certo indispensabile.
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