Ingannevole è il cuore più di ogni altra cosa. E’ il titolo, tradotto in italiano, del secondo film diretto da Asia Argento, tratto da un romanzo autobiografico di J.T. Leroy. Ambientato in un’ America dalle atmosfere underground e degradate dei film di Clark e Korine, ma anche di Van Sant (di cui la Argento era stata attrice in Last Days) la storia è quella di Jeremiah, un bambino che segue nei suoi spostamenti quella che è facilmente classificabile come la madre peggiore del mondo, almeno per quanto concerne la rappresentazione che ne fa il film. Sarah, interpretata dalla regista stessa, è una puttanella tossicodipendente cattiva e sadica nei confronti di un figlio che, prima dato in adozione, riesce a riprendersi e a trascinare con sé, a suon di amore malato (‘'sei solo mio, ‘'possiamo contare solo l’uno sull’altra’') e rabbia (‘' mi hai rovinato la vita, ‘'senza di te sarei diventata qualcuno’') nelle sue peregrinazioni fra un nuovo ragazzo di passaggio, un camion, un parcheggio e occasionalmente una casa, facendolo picchiare, deridendolo e denigrandolo, e, nel migliore dei casi, lasciandolo solo da qualche parte. Il road movie di madre scapestrata con pargolo al seguito è inframmezzato dalla permanenza, durata qualche anno, di Jeremiah in una specie di setta cristiana, il cui capo è il nonno stesso, di cui si traccia un profilo a metà fra il fanatismo religioso e la pedofilia, che delinea un rapporto di causa ed effetto fra l’educazione cristiana deviata ricevuta e i comportamenti di Sarah. A discapito delle violenze e delle dure condizioni di vita a cui è costretto a sottostare l’amore e l’affetto del bambino propenderanno verso la madre, , in un rapporto sempre più all’insegna della follia, ma in cui il legame di sangue assume una valenza sacrale e mistica che si risolve nell’unione, anche nella condizione più estrema, un’unione questa volta scelta e non obbligata.
Il rapporto fra educazione religiosa, droghe e squilibri mentali è un leit motiv ricorrente nel cinema (mi viene in mente Mysterious Skin di Gregg Araki) ma in ‘'Ingannevole è il cuore’' sembra un’estrema forzatura, un’esagerazione che lega l’aspetto road/underground a quello da horror di seconda categoria, con un’Asia Argento che da tossica figa diventa una pazza in preda a visioni apocalittiche che ricorda molto i personaggi, e la cinematografia, di Dario Argento. Il personaggio della madre giovane e problematica è anch’esso un tema ricorrente ma qui il personaggio di Sarah non suscita empatia o simpatia, e a volte fa involontariamente ridere per la sua esagerazione, che sembra quasi patetica, e non trova nelle vicende pregresse altro che una giustificazione troppo forzata. Punto di unione è certamente il legame madre-figlio, la figura della madre in tutta la sua potenza terribile e simbolica, fonte di amore e sofferenza, ma per cui l’amore vince sempre in virtù di quel legame ancestrale che è impossibile scindere. E’ per questo che la rappresentazione della figura materna è intensificata dai richiami mistico-religiosi, qui visti come una degenerazione di un’educazione cattolica sbagliata, che traslano sul piano religioso una figura di madre controversa (ma bisognerebbe chiedere alla regista di confermare o meno quest’interpretazione, o leggere il libro di Leroy per farsene un’idea più precisa).In un certo senso, una convergenza fra sacro e profano.
E’ interessante vedere il film alla luce del ‘personaggio’ reale Asia Argento, la cui immagine pubblica è una versione su scala minore, o forse semplicemente appartenente a un mondo diverso, di Sarah: è impossibile non pensare che ad Asia piaccia fare la parte della ‘'bella e dannata’', nella realtà e nella finzione, alimentando l’aura che si è creata intorno alla sua figura. Quest’ambivalenza trova una vena comica nel fatto che, nonostante questo, non sia brava a interpretare la versione caricaturata di se stessa: la sua recitazione, al di là dell’ immagine esterna del personaggio, che incarna alla perfezione, è a tratti grottesca, perché tende a spingere oltre i suoi limiti un personaggio già al limite, esagerandolo e facendolo scadere nel ridicolo, in un tentativo che si presta bene ad essere letto come autoreferenziale.
Un altro dei punti che condivide con il cinema underground a cui sembra essersi ispirata sono i cameo di personaggi dello spettacolo, ognuno dei quali interpreta un ruolo breve e marginale che accresce l’universo di facce e persone con cui i protagonisti hanno a che fare per poi buttarsi alle spalle e continuare il loro cammino. La colonna sonora, di Morgan e dei Sonic Youth, insieme a diversi riferimenti musicali, è un omaggio che il film tributa al mondo dell’industria musicale underground ma anche un impreziosimento stilistico – uno dei pochi che mi è piaciuto. E Jimmy Bennett è bravissimo.
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