Gli Asia Minor sono una band francese formatasi nella metà degli anni 70 e il loro nome prende spunto dalle origini dei propri membri fondatori e polistrumentisti Setrak Bakirel ed Eril Tekeli.

Il gruppo è autore di un prog-rock sinfonico raffinato e suggestivo e produce due dischi di pregevole fattura, “Crossing the line” del 1978 e “Between Flesh and Divine” del 1980, che però immancabilmente passano inosservati al grande pubblico.

Entrambi i lavori sono autoprodotti e questo purtroppo si sente nel disco di debutto, i cui lievi difetti verranno però limati nel successivo, che per il sottoscritto è uno degli album più ispirati di quegli anni nel genere. Intrigante la copertina, ideata da Teseli ed ispirata da Greta Garbo, che rappresenta la dualità della donna, oggetto del desiderio e musa spirituale.

La musica proposta dagli Asia Minor è particolarmente originale e con chiare influenze mediorientali. Troviamo quindi i passaggi più romantici e sognanti, incentrati su tastiere ariose e ricercati arpeggi di chitarra, che preludono a fughe strumentali dai ritmi più sostenuti e variegati. Il tutto ad evidenziare il virtuosismo degli interpreti, il quale non risulta però mai eccessivo. Non si sentono influenze dominanti, forse solo qualche debole rimando ai migliori Camel. Questa vuole essere solo un’indicazione sulle sonorità, ma considerate che  personalmente questi ultimi non mi fanno impazzire. Nel sound della band emerge poi il flauto, che tratteggia melodie ispirate e malinconiche, senza però essere invadente o aggressivo. Apprezzabile anche la voce di Bakirel, che pur non avendo una particolare estensione, ha un timbro grave e delicato che ben si adatta alla musica proposta. L’opener “Nightwind”, inizia con una energica linea di basso alla quale fanno poi seguito man mano gli altri strumenti,  in un escalation che porterà alla delicata fase centrale dove si innesta un cantato suadente e nostalgico. La canzone riprende poi le ritmiche iniziali per finire in un crescendo molto intenso. Segue “Northern lights”, il brano più bello del disco, che inizia con un triste arpeggio intrecciato di tastiere e chitarra e che introduce alla successiva e frenetica esplosione strumentale. La canzone riprende poi toni più morbidi sui quali si innesta il cantato e, come il pezzo iniziale, termina con un apprezzabile crescendo. Si arriva alla splendida ballata “Boundless”, brano emozionante dove le tastiere spadroneggiano e le liriche ci fanno sognare: “There is no universe without harmony / and no illusion without dreaming”.

La quarta traccia “Dedicace” riprende la fortunata formula dei due brani iniziali, con la differenza che il cantato in questo caso accompagna anche le parti più dure del pezzo. Si prosegue con “Lost in a dream yell”, ballata progressiva che inizia con lo scroscio di un tuono e un sottofondo di pioggia. La canzone scorre delicata fino alla parte finale dove le evoluzioni del flauto, sorrette da una ritmica a tratti marziale, ci accompagnano attraverso atmosfere sognanti. A chiudere il disco un breve strumentale intitolato “Dreadful memories” che, come lascia intuire il titolo, è un pezzo oscuro guidato da una chitarra “crimsoniana” e piuttosto dura.

Nonostante gli sforzi dei componenti, purtroppo la musica del gruppo non riuscirà ad uscire dall’anonimato e a raccogliere i frutti desiderati, preludio allo scioglimento del 1983.

Il disco verrà ristampato nel 1991 dalla casa discografica Musea e distribuito a livello internazionale, ottenendo un discreto successo di vendite soprattutto in Giappone. A mio modesto parere è uno dei lavori più belli del prog anni ’80.

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