Non sono imparziale, ascoltando gli Assalti. No, non lo sono perchè ho sempre pensato che, insieme a pochi altri (Uochi Tochi, in parte Dargen D’Amico e pochissimi altri) rappresentassero la migliore interpretazione italiana dell’hip hop, fatto di esperienze e denunce, vita al Forte Prenestino e impegno, ma anche voglia di divertirsi con consapevolezza. Ecco, “consapevolezza” è il termine che, secondo me, descrive l’esperienza Assalti Frontali: essere dentro a ciò di cui si canta. Non solo comporre una canzone, ma viverla prima di tutto.
Dopo un paio di album (“Mi sa che stanotte...” e “Un’intesa Perfetta”) che non mi hanno convinto come i precedenti, il Sound System romano torna con un album che va dritto al (mio) cuore e si inserisce perfettamente fra i capolavori della band: “Profondo Rosso” è il disco che ci si aspettava dai nostri fin dal 2004 di “H.S.L.”. E’ un album dove, accanto ai testi di Militant A, si trova una grande cura alla parte musicale dovuta all’innesto del prolifico Bonnot sia come membro effettivo del sound system sia come unico produttore dei suoni. Le basi sono coinvolgenti, mai banali, eclettiche e dannatamente divertenti, con uno stile oramai inconfondibile: una “Profondo Rosso” elettronica che si incrocia con un gusto quasi rock, una “Cattivi Maestri” in cui Bonnot mixa la base con un bel riffone di chitarra, altre come “Banditi nella Sala” che rappresentano irresistibili standard hiphop, ballate acustiche come “Lampedusa Lo Sa”. La parte vocale è affidata a Militant A (e a una serie di ospiti più o meno famosi come Esa e Inoki in “Banditi nella Sala”) che, come al solito, non delude con il suo flow teso e nervoso, la timbrica inconfondibile e il senso di angoscia che trasmette. E’ un disco non commerciale, ma commerciabile e moderno.
Ovviamente, nell’economia del disco, la parte preponderante la fanno i testi in cui Militant A descrive nuovamente ciò che vede attorno dal suo punto di vista, quello di una persona che ha sempre vissuto nel movimento, in una “zona rossa” (e si fa perdonare gli inevitabili slogan che fanno capolino qua e là). Si passa dal ricordo rabbioso delle morti “inspiegate” come quella di Stefano Cucchi, al “meticciato” che si sta inserendo nella nostra società e alla sua voglia di integrazione, a inviti alla resistenza (anche nelle scuole, a cui è dedicata “Cattivi Maestri”), a dolorosi ricordi di tragedie umanitarie (il Mercantile Pinar), fino alla condizione di “profondo rosso” ecomonico, sociale e affettivo a cui (e forse questo è il centro del disco) si deve opporre la nostra cultura e la nostra consapevolezza per arginare e combattere la desolazione e la povertà (soprattutto intellettuale) che ci circonda. C’è spazio anche per una canzone dal testo fortemente personale e programmatico, “Spugne” (la mia preferita), in cui Militant A sembra fare il punto della situazione, l’altra faccia del “profondo rosso”, (“senza lotta non so essere felice”), quello positivo legato all’esperienza radicalmente politico-sociale di Militant e soci: mai arrendersi e continuare a lottare per quello in cui si crede.
“Profondo Rosso” è l’ennesima conferma di quello che sono gli Assalti Frontali: schierati e di parte, coi loro molti pregi e i loro difetti (il gusto per lo slogan, certe concessioni commercialoidi di alcune canzoni...), coinvolgenti per chi è vicino alle loro idee, indigesti per gli altri.
Gli Assalti Frontali e Militant A sono persone autentiche che parlano di vissuti personali, hanno una posizione (che può anche non essere condivisa) e ce la comunicano senza mezzi termini, senza mediazioni, una posizione forte di antagonismo: questa è la vera forza del sound system. E tale forza si concretizza in un disco che, parafrasando l’epocale “Conflitto”, trova una casa (Roma e la “famiglia allargata” degli Assalti) per “andare in giro per il mondo” e raccontarci, sempre da un ben preciso punto di vista, quello che succede.
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