Alcuni gruppi sono destinati a nascere e morire nel giro di pochi anni, e a fare storia. Successe, all'inizio degli anni '90, a due gruppi particolarmente importanti nella scena del prog-death: i Cynic e gli Atheist.

Non solo: devono esserci, in qualche modo, dei "fluidi culturali" che favoriscono, in determinati momenti e in particolari aree, il prosperare di movimenti che su scala mondiale non hanno paragoni. E quindi non credo di esagerare se vedo in un fazzoletto di terra di pochi km quadrati, la Florida, il più importante posto del mondo per il prog-death, avendo partorito niente di meno che Atheist, Cynic e Death praticamente in contemporanea. E qui scappa la lacrima per quella che sembra essere una maledizione: i Cynic che si scioglieranno di lì a poco, gli Atheist che riusciranno a fare appena (!) tre capolavori, e i Death che, ancora musicalmente vivissimi, si spegneranno con la scomparsa del grande Schuldiner. Ma è dell'inizio di tutto questo che stiamo parlando.

1990: i Death sono ancora in mezzo al guado, con il transitorio "Spiritual Healing", ancora spiazzato tra la crudezza dell'esordio e la raffinata tecnica delle successive uscite. Ma ecco che spunta una novità, un gruppetto dalla nascita sofferta, che non canta più la miseria, il dolore, la sofferenza, la morte, ma tenta di superarla, recuperando una prospettiva spirituale che i Death di Schuldiner non hanno mai avuto, incentrati come sono sulla sensazione immediata, sulla sofferenza viscerale e corporea, sulla morte in quanto evento ineluttabile e doloroso. Gli Atheist, come detto, fanno altro: la vita è soltanto terrena ("Piece Of Time") ma non perde di spiritualità, la guerra è maledetta ("Unholy War") e sempre ideologica, rinnegano la società umana che si affida a preti e politici ("I Deny", "Why Bother"), presentano il loro manifesto d'ateismo ("No Truth").

Gli Atheist hanno uno spessore decisamente inconsueto per un gruppo metal, e affrontano la vita e la filosofia come nessun altro aveva fatto - o farà - all'interno del movimento. Al di là della storiografia pura e semplice, pur ricca di fascino, c'è un album non ancora compiuto ma di una carica indescrivibile.

La produzione è quella tipica degli anni e del genere, un pò impastata ma molto efficace, con chitarre in primissimo piano, la voce leggermente dietro e un pò riverberata, il basso penalizzato ma comunque comprensibile, cassa e rullante in evidenza, suono asciutto. L'album si apre con uno dei pezzi migliori, "Piece Of Time", caratterizzato da un gran lavorìo della parte ritmica e riff potenti e veloci. In tutto l'album non ci sarà neanche una caduta di tensione, tanto che un ascolto intero - pur se non lunghissimo - potrebbe risultare pesante, se non fosse che i nostri si sono ben preoccupati di mantenere altissimo il livello tecnico e creativo: non vi annoierete.

Se possibile, "Unholy War" accelera ancora, per poi rallentare in una decrescita pienamente rock-prog, e ripartire frenetica e vigorosa. "Room With A View" rallenta e l'incedere si fa più ossessivo; ci si sente molta dell'ispirazione che sarà ereditata, ma semplificata, dagli At The Gates di lì a poco. "On They Slay" e "Beyond" è più debitrice al Thrash di Testament e Metallica, ma anche e forse soprattutto Slayer. "I Deny" e "Why Bother" sono invece in pieno stile Atheist, decisamente più personali, davvero meravigliosamente complesse, con una intro sorretta dalla sezione ritmica, e spunti decisamente prog. Il ritornello, poi, è sempre un capolavoro di oscurità e di controtempi (e gli At The Gates continuano a ringraziare). "Life" è un pò meno evoluta, probabilmente di precedente composizione, a giudicare dall'approccio leggermente meno tecnico e più tradizionale. Si termina con "No Truth", un'altra delle meraviglie di un album che, seppure non completamente maturo, rimane un capolavoro di creatività e maestrìa; l'intro molto contemporanea, sorretta da un synth datato ma adeguato, è interrotta brutalmente da un riff tagliente e una ritmica che fa a pezzi il tempo. Il growl disumano ci accompagna fino alla fine dell'album, in un pezzo che è, ancora una volta, vario e costruito con una cura impressionante, degna chiusura di un album storico a cui tutto il metal (non solo prog, nè solo death) attingerà a piene mani.

Un album che un appassionato non può lasciarsi sfuggire, ma che per qualche neofita può risultare poco accessibile. Ad ogni modo, gli Atheist che abbiamo conosciuto sono sempre stati questo: mai banali e mai prolissi, in perfetto equilibrio stilistico e contenutistico, ma puri in una interpretazione integralista del genere, senza alcuna concessione alla commerciabilità di quelli che non sono mai stati semplici prodotti, ma sempre Opere.

Ringraziamo Dio di avere avuto gli Atheist!

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