ATHEIST - Unquestionable Presence INTRO: Nella musica ci sono periodi in cui nuovi generi musicali vengono fuori, in cui nuovi gruppi cercano di esprimere le loro emozioni attraverso dei diversi riff da quelli che fino a quel momento avevano allietato le nostre orecchie, in cui vengono affrontati nuovi argomenti che esprimono rabbia e dolore; uno di questi periodi può essere quello che parte dalla seconda metà degli anni '80 dove album come "Seven Churches" dei Possessed e "Scream Bloody Goro" dei Death spalancavo le porte a quel genere detto death metal con cui gruppi dell'epoca cercano di esprimere il loro disappunto per la società attraverso testi nei quali si esalta morte e distruzione. Quindi noi semplici ascoltatori, abbiamo etichettato il death metal e i suoi aedi come l'espressione di quella parte più marcia che una persona può tirar fuori. Ma poi arriva un momento in cui si comincia a dubitare di quelle ipotesi che fino a quel momento si erano supposte, poi arriva un momento dove si pensa: "Caspita, ma fino ad adesso cosa avevo ascoltato?".
Quel momento lo possiamo indicare con il 1991, il punto zero per il death metal, un anno in cui si incomincia a dubitare della voglia di sangue del death metal e in cui quella violenza sonora diventa una violenza ragionata dove ogni nota ha una collocazione precisa in quel muro sonoro che è un lontano parente da quello rozzo compostodai primi Death e dai Possessed. Questi nuovi teorici del death metal come espressione non della violenza messa al servizio della musica ma della musica messa al servizio della violenza sono gli Atheist, che insieme a Pestilence, Cynic e anche gli stessi Death, riescono a mutare i target e i luoghi comuni che fino a quel punto avevano classificato il death metal dando vita ad una gara su come classificare questo tipo di musica: techno-death, prog-death, jazz death ecc... Fatto sta che l'album Unquestionable Presence degli Atheist è un qualcosa che va al di là del normale death metal, qualcosa che va al di là dello scibile musicale che noi normali ascoltatori avremmo mai immaginato. Un'opera eccelsa in cui il quartetto riesce a concepire otto tracce a dir poco superlative.
Ognuno dei musicisti riesce a spremere al meglio il proprio strumento fino al punto di dubitare della loro forma umana; è inimmaginabile come Shaefer possa "urlare" in quel modo e allo stesso tempo attrezzare un tappeto sonoro che insieme al suo compagno Burkey arriva ad esaltare al massimo la propria bravura, riescono a concepire dei brani in cui le due chitarre sono come due attori protagonisti i quali nessuno pesta i piedi e lavorano tutti e due per il raggiungimento dell'opera, cosi le due chitarre, si sovrappongono, si intrecciano, si completano ma non si pestano mai i piedi riuscendo a spaziare da riff death a riff jazz senza problemi; per non parlare poi della sezione ritmica su cui sarà stato sicuramente una impresa difficilissima suonarci che fa pensare anche forse a qualche improvvisazione perché Steve Flynn semplicemente paura: con un set minimo riesce a tirare su un macello sonoro incredibile, andando a velocità folli, pestando su tutto quello che può pestare, e creando delle parti di batteria complesse ed inestricabili, tanto che a volte si fa fatica a capire cosa stia facendo, forse non lo sapeva manco lui... E poi c'è Tony Choi al basso che sposta ti più lo stile del gruppo verso sonorità più jazz non dando quindi un impatto più grezzo e più aggressivo. In conclusione (grazie a Dio dirà qualcuno) questa è un opera che ha rivoluzionato l'intero movimento death metal riuscendo a sviluppare un nuovo modo di concepire la rabbia e la violenza.
Quindi un acquisto obbligato per tutti quelli che vanno al di la della semplicità e la frivolezza del normale death metal e che cercano quella raffinatezza che riesce ad emozionare per davvero...
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