Attenberg è ambientato in una Grecia post-moderna, grigia a eccezione del mare. Marina, la protagonista ha 23 anni ed è vergine. Ha una migliore amica con più esperienza di lei, e un padre malato. Le dinamiche che uniscono Marina e Bella non sono nuove al cinema contemporaneo: Marina prova odio e invidia verso Bella, perché la ammira e la disprezza allo stesso tempo. Crede che flirti con suo padre. Il bacio iniziale fra le due, lungo e compiaciuto nel sottolineare il movimento barbaro delle lingue, che si intrecciano, si avvolgono, tornano indietro e si riuniscono meccanicamente, è il primo di una lunga serie di siparietti che costella il film. Lo stile è indubbiamente minimale, le conversazioni ridotte all’osso e lo sguardo della cinepresa indugia, come nel finale, sul paesaggio urbano, che fa da coadiuvante alle parole scarne dei protagonisti. Ma le parole pronunciate sono bellissime: i dialoghi fra padre e figlia, e il monologo del padre di fronte al mare sullo stato in cui versa la nazione. Il padre però è un personaggio triste, spento, destinato a morire con la modernità che avanza e lo spazza via, perché è incapace di sognare, di credere anche; un architetto ateo, che non crede in nulla ma ama la figlia, che dal canto suo cerca di alleviare il suo dolore come può, per esempio confezionandogli una crema all’aloe (una di quelle piccole cose che impreziosiscono il tessuto narrativo della pellicola). Attenberg ha molto in comune con altri due film del nuovo cinema greco: Kynodontas e ''Miss Violence''. Con il primo condivide anche il regista, Lanthimos, qui attore nei panni dello straniero con cui Marina perde la verginità nella camera d’albergo in cui lui dorme. Con questi oltre allo stile e all'estetica condivide il modo di recitare dei suoi personaggi, che sembrano attori su un palcoscenico teatrale che mimano grottescamente il reale, come quando Marina e il padre si fingono animali, e Marina e Bella fingono di essere due felini, e anche nei siparietti in cui le due danzano in coppia, così come facevano le due sorelle in Kynodontas nei loro spettacolini domestici e la figlia minore in Miss violence, quando ballava per il padre. Il loro fare felino si mantiene sempre, come quello di due serpenti pronti a mordersi per non essere morsi per prima. ‘’You don’t like women’’,‘’You don’t like women either’’, si rinfacciano a vicenda, e le loro parole suonano come dei sibili. Ma nonostante questo i sentimenti traspirano sotto la patina grigia come gocce di vapore che appannano la lente attraverso cui vediamo il film. Le camere d’albergo e quelle di ospedale, che sono buona parte delle ambientazioni usate, sono casse di risonanza ovattate per i più piccoli gesti d’affetto, le luci al neon i riflettori per le scene d’amore. Anche qui i personaggi hanno dei problemi con l'esternazione dei loro sentimenti, bloccati dai tabù, come lo erano dall'educazione familiare e dall'emarginazione in cui erano costretti nei due film precedenti. Qui la situazione è apparentemente diversa, ma rimane fondamentalmente la stessa, e Marina ne è all'inizio la vittima, ma poi si emancipa, attraverso la scoperta del sesso e l'elaborazione del dolore del lutto. In un certo senso quello di Attenberg se non un lieto fine è un finale non negativo, che poi canonicamente altro non è se non la fine del periodo di formazione.
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