La Quinella è un tipo di scommessa che si gioca in America alle corse dei cavalli: si punta su una coppia vincente di quadrupedi e si fa centro quando gli stessi si piazzano primo e secondo, senza distinzione fra l'uno o l'altro. Ma "Quinella " è soprattutto un eccellente album di caldo e saporito Southern rock, fra i migliori della dozzina pubblicata da questo sestetto della Georgia dalla chilometrica denominazione, a partire dall'esordio auto intitolato del 1972 fino al 1999, anno dell'ultimo lavoro in studio "Eufaula".
Sarebbe il migliore senza storia, e quindi uno dei migliori album di Southern rock in assoluto, se si andasse avanti fino alla fine con l'alta qualità tenuta dal primo al quinto brano in scaletta... invece poi il disco prosegue con qualche episodio riempitivo di minor conto e si conclude lasciando un eccellente retrogusto, però un pelo annacquato rispetto alle premesse iniziali.
Averne di dischi così comunque: si attacca all'improvviso col riff piuccheperfetto di "Homesick", sagomato in maniera squisita dalle Les Paul dei due chitarristi Barry Bailey e J.R. Cobb e dallo scalciante basso Rickembacher del corpulento Paul Goddard (pace all'anima sua: se n'è andato giusto lo scorso aprile). Uno stop ed entra la voce calda, sexy, rilassata ma piena d'anima del compianto Ronnie Hammond (aridaje... a lui ha ceduto il cuore nel 2011) che prende a descrivere la vita on the road, i concerti insieme agli altri colleghi e campioni del genere come Lynyrd Skynyrd ed Outlaws... una vera celebrazione, ed un grande esordio rock e blues per quest'album.
La canzone che segue e che intitola il lavoro è un funky rock blues alla maniera loro, cioè molto rotondo e melodico e sornione, seppur scoppiettante ed agile. Crea un bel contrasto con la successiva "Alien" che è invece una ballata vigorosa e ricca condotta dall'armonico piano elettrico Wurlitzer manovrato dalle sapienti mani di Dean Daughtry, una performance che s'innalza verso il sublime quando intervengono i guizzi di chitarra solista del valentissimo Bailey, un tizio che non ha niente da imparare da qualsivoglia altro chitarrista in quanto a feeling, cura del tocco e della scelta delle note, economia e capacità melodica del fraseggio, controllo del suono e pure ficcanza ritmica.
"Higher" è un numero insolitamente veloce e tumultuoso per questa banda, diciamo la loro maniera di toccare l'hard rock, restando però inevitabilmente melodiosi e accattivanti. E' gente nata fra le quattro pareti imbottite degli studi discografici di Atlanta e dintorni, sin da giovanissima adusa ad essere flessibile, precisa, efficiente, misurata e rotonda... proprio non ce la fanno ad essere aspri e corrosivi, neanche quando il ritmo viaggia a centocinquanta battute per minuto. E' nel loro DNA risultare musicali e pastosi in ogni circostanza.
La cinquina d'eccellenza è chiusa dall'ottima "You're So Strong", con ancora il piano elettrico in evidenza, pure in fase solistica. Il resto come detto non è indispensabile da citare, vi sono anche un paio di episodi in cui la proposta del gruppo si fa considerevolmente più intimista, aiutata in questo dalla chitarra acustica imbracciata dal cantante, e invero un poco zuccherosa.
Come tantissimi altri gruppi storici americani di rock classico gli ARS sono tuttora in giro per gli States, seppure in formazione largamente rimaneggiata (il solo pianista Doughtry è rimasto fra i fondatori del gruppo), a portare davanti alla gente i loro classici, la loro bravura, il loro piccolo mito.
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