Il nome Atreyu non può che evocare ricordi d’infanzia a chi ha vissuto i mitici anni Ottanta. E’ stata proprio “La Storia Infinita” (Neverending Story in origine e fuori confine) a suggerire il moniker alla band di Yorba Linda, California, ormai nel lontano 1998. A volerla dire tutta, il nome andò a rimpiazzare il più mesto “Retribution”, non per motivi di omonimia con altre band ma per mera voglia di indossare un abito più particolare ed originale.

“Baptize” esce nel giugno 2021 e il compito che viene affidato alle sue quindici tracce nuove di zecca, è alquanto arduo e ambizioso.

Dopo ventidue anni e sperimentazioni continue, che hanno portato gli Atreyu ad abbracciare un’altalena di generi, la line-up è stata stravolta dall’abbandono di Alexis Varkatzas, frontman della band già dagli esordi. La partenza di Varkatzas ha portato i restanti membri del quintetto ad optare per una scelta tanto ovvia quanto comoda, ovvero spostare Brandon Saller, batterista polistrumentista, dalle retrovie sceniche al microfono. Saller non si è fatto trovare impreparato, avendo sempre accompagnato il drumming con i contributi vocali, che con il passare del tempo sono divenuti sempre più incisivi nell’economia dei brani. Il destino ha poi fatto il resto e con eccellenti risultati, verrebbe da dire.

Il sound degli Atreyu è molto cambiato dai tempi di “The Curse”, album d’esordio del 2004, che li vedeva molto più aggressivi, con un metalcore di inzio secolo, che strizzava l’occhio al death nordico. Si è passati prima all’emo, poi al post-hardcore con le successive quattro pubblicazioni, in un periodo storico in cui il genere poteva vantare un enorme consenso.

Il nuovo cambiamento ed evidente addolcimento avverrà con “In Our Wake”, del 2018. Le sonorità catchy, tipiche di un certo alternative metal, diverranno nuova consuetudine, accogliendo anche un songwriting più radio-friendly.

A tal proposito, “Baptize” mette immediatamente in mostra il nuovo trend, con una tracklist fatta di quindici tracce, nessuna delle quali superiori ai tre minuti, per un totale di poco più di quaranta minuti di musica.

Il disco si apre con l’intro “Strange Powers Of Prophecy” e note di didgeridoo prima e organo poi, che accompagnano la voce di Saller, evocando sonorità alla Linkin Park.

Da qui in poi ci si imbatte immediatamente nella travolgente potenza alternative dell’omonima “Baptize”, che va a braccetto con “Save Us”, con la quale condivide un refrain molto simile, fatto di vocalizzi corali. Man mano che si avanza, ci rendiamo conto della variegazione di genere nei pezzi. “Underrated” e “Catastrophe” sono tipicamente post-core, tra riff scalmanati e scream insistente; “Broken Again” e “Sabotage Me”, dal carattere malinconico, ci riportano al primissimo nu metal.

Non mancano poi le valide collaborazioni. “Untouchable”, con Jacoby Shaddix dei Papa Roach, è scatenata e coinvolgente e implementa inevitabilmente l’impronta delle ultime uscite della band di Vacaville. “Weed” e “Fucked Up” rimangono sulla stessa linea, grazie al rapping e alla composizione molto vivace. In “Oblivion” partecipa Matt Heafy dei Trivium e il suo eccellente timbro porta ancora più qualità vocale, se ce ne fosse bisogno. Non mancano neppure le bacchette pirotecniche di Travis Barker, onnipresente mecenate della generazione Z, che ha il compito di impreziosire la linea ritmica di “Warrior”, particolarmente adatta per la dimensione live. Infine ci troviamo immersi in episodi più pacati e riflessivi con “Stay”, “No Matter What” e “Dead Weight”.

I testi sono tutti incentrati sull’esaltazione dell’interiorità, con lo scopo di convincere chi ascolta che mai nulla è perduto, che arrendersi non è una soluzione da contemplare nei momenti di difficoltà e che è proprio quando si tocca il fondo, che avremo l’opportunità di rifarci dando il nostro meglio.

I critici sono in attesa del nuovo lavoro, "The Beautiful Dark of Life", che uscirà nel 2023, dato che “Baptize” si lascia alle spalle un solco e costituisce a modo suo un nuovo punto di partenza per i cinque di Orange County. Un battesimo, per l'appunto, come recita il titolo molto azzeccato.

Apprezzare o meno tutto ciò che è avvenuto prima del 2021, non può condizionare il parere su quest’ultima pubblicazione. “Baptize” è un disco elettrizzante, molto godibile e non ha la pretesa di far gridare al miracolo.

Lunga vita agli Atreyu, allora. Magari, con questo nome, la loro sarà davvero una storia infinita.

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