Un lungo viaggio nelle impenetrabili menti di sei geni, così si potrebbe commentare tutta la discografia degli Atrox, band norvegese, che ad oggi rappresenta una delle punte di diamante nell'ambito del metal d'avanguardia.
Nati 18 anni fa in Norvegia in quel di Trondheim, e dopo numerosi cambi di line-up, ma anche di genere (passano infatti da un gothic/death metal tecnico all'avantgarde), arrivano solo nel 1997, dopo quattro demos, al debutto, intitolato "Mesmerised", un album ben suonato e prodotto, ma ancora un poco acerbo dal punto di vista musicale. Il grande passo avvenne però con l'album successivo, quel "Contentum" del 2000, che diede al mondo una band talmente particolare nel sound da poter essere considerata pressochè unica, nella quale ogni membro trovava il proprio spazio, per esprimersi al meglio tecnicamente, ma anche dal punto di vista compositivo.
Già da un primo ascolto di questo "Contentum" si nota che la proposta di questi norvegesi è quanto meno atipica: continui cambi di tempo, tappeti di doppia cassa, chitarre e basso che sovente si esprimono in solos complicatissimi e, soprattutto, una cantante, Monica Edvardsen capace di tessere linee vocali allucinanti ed allucinate ora intente a prendere note altissime (quasi dei fischiati) ora più basse, il tutto condotto con una teatralità riscontrabile in nessun altro cantante mi sia fin'ora capitato di sentire. Musicalmente il platter si presenta abbastanza compatto, anche se al suo interno si possono scorgere numerose divagazioni strumentali che, a differenza di quello che accade in altri gruppi, arricchiscono ancora di più un sound già di suo ben fornito; le composizioni sono tutte, o quasi, costruite su atmosfere fredde e tristi, quasi autunnali, anche se saltuariamente fanno la loro comparsa dei momenti più schizofrenici, nei quali si intrave la voglia di cambiare direzione verso lidi più solari, come ad esempio negli abbondanti sei minuti della track d'apertura "Sultry Air", molto probabilmente la canzone, assieme a "Lizard Dance" meno malinconica del disco.
D'altra parte ritroviamo pezzi carichi di tensione come la seconda "Unsummoned", disperata nel suo incedere lentissimo, sul quale si adagia perfettamente la sofferta voce di Monica, che tralascia le linee camaleontiche tipiche del suo cantato, a favore di un'interpretazione più attenta al lato emotivo della musica. Ancora su queste coordinate si attesta "Letters To Earth", splendida come una gemma nera, nella quale i nostri non lasciano spazio a pensieri di libertà, costruendo un pezzo claustrofobico assolutamente "chiuso" che non lascia respiro. Naturalmente in questo viaggio si possono trovare anche pezzi più di "maniera", o comunque meno atipici, quali "Panta Rei (Gather In Me No More)", lunga suite di 10 minuti, più vicina al progressive che non all'avantgarde schizzoide incontrato fin'ora, che gioca su cambi ritmici e di atmosfera, sfruttando per lo più la lunghezza, o ancora "Ignoramus", il pezzo più easy-listening (anche se parlare di easy listening mi pare abbastanza azzardato) dell'intero lp.
Tecnicamente l'album presenta strutture come detto particolarmente complesse, i musicisti si dimostrano tutti preparatissimi tecnicamente e lo dimostrano senza aver paura di inciampare in inutile esibizionismo, grazie ad un song-writing di livello invidiabile. Detto ciò la maturità c'è, l'originalità anche, il lavoro è prodotto con grande professionalità, sta ora a voi dargli una possibilità, sapendo che è un disco assolutamente non adatto a tutti e che per essere assimilato necessita di un tempo particolarmente lungo (per capirlo ho impiegato qualche cosa come due anni... vabbè ma io sono un tardone quindi non faccio testo), ma quando entrerà nelle vostre corde vi accorgerete di avere tra le mani qualche cosa di unico ed inestimabile.
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