“Uno con una voce del genere, o si ama o si odia”. Non capirò mai cosa voglia dire ma compare in quasi tutti gli articoli riguardanti Danny Brown. Come definire suddetto timbro vocale? “Particolare” mi sembra il minimo, “unico” meno esagerato di quanto possa apparire. Nel rap l’originalità è tutto. Beh almeno dovrebbe esserlo. Questo rapper e questo disco, di originalità ne portano a carriole. A partire dai riferimenti musicali/culturali: se campioni un pezzo funky e citi Dr. Dre, bene o male tutti i rappusi della curva ovest riusciranno a capire dove stai andando a parare. Se prendi il titolo del tuo album da una canzone dei Joy Division (o dal romanzo omonimo?), e quello del pezzo d’apertura, tra l’altro molto bello, dai Nine Inch Nails (“Downward Spiral”), è probabile farai collezione di punti interrogativi.

Liberiamo il campo da ogni equivoco: il ragazzo ha dalla sua tutto ciò che nel settore marca la differenza tra un brocco e un fenomeno. Stile, tecnica e flow si accompagnano a gusto per il grottesco e le atmosfere cupe. Ha anche dalla sua qualcosa che alla maggior parte dei suoi colleghi, compresi quelli bravi, di solito manca: un produttore con le orecchie buone e un’idea di fondo, che curi l’intero progetto. Il nome Paul White potrà dire anche poco, ma le sue basi la dicono lunga. Il ragazzo che pensa un po’, è bianco anche di fatto e pure inglese, incastra a meraviglia chitarre distorte e synth acidi, su costruzioni ritmiche ben più variegate del canonico quattro quarti rappistico.

Se chiami a rappare sullo stesso pezzo il king delle produzioni milionarie (Kendrick Lamar) e quello dei demo da cameretta (Earl Sweatshirt), automaticamente diventi il più figo del quartiere. Se fai un pezzo sulle canne con B-Real dei Cypress Hill, forse anche della città. Se passi con disinvoltura da basi che a momenti ci scappa il rave ad altre che “ma mica saremo a Berlino prima del crollo del muro?!”, inizio a spiegarmi cotanto sfoggio di amore per le droghe. Ascolti “Tell Me What I Don’t Know” e… Questo chi è? Sempre lui, ma con una voce completamente diversa. Testo “importante”, tra l’altro.

C’è veramente un sacco di roba bella da sentire, c’è una produzione di Alchemist che fa tremare i muri, ma soprattutto c’è ’sto laido d’un freakettone che è uno spasso continuo. Da qualche parte tra la follia di Ol’ Dirty Bastard e lo humour cazzone dei Pharcyde, filtrati attraverso un immaginario più radicato in altri generi e una cospicua dose di anfetamine.

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