The Last Duel, ultimo film di Sir Ridley Scott. In cui il grande regista inglese torna, a distanza di oltre quarant'anni dall'esordio clamoroso con I Duellanti, a mettere in scena l'onore cavalleresco, il duello come resa dei conti per una faccenda estremamente personale, che fosse un capriccio, oppure una inimicizia, o una violenza subita, come in questo caso, da una donna.
Ma, a tal proposito, le differenze sono sostanziali tra i due casi, e non di poco conto.
In comune, i due film hanno la contestualizzazione francese e, appunto, il duello, con relativi codici e riti. Ma a cambiare, oltre al secolo di riferimento (ed allo stile di regia, mutato da Scott nel corso dei decenni), è la natura stessa del confronto.
Ne I Duellanti, si trattava di una faida, un regolamento, lungo decenni, in epoca napoleonica, dovuto a questioni, in verità, tutte nella testa del personaggio di Keitel, e la fonte letteraria era solo vagamente ispirata ad un episodio reale, e molto romanzata.
The Last Duel, invece, è sì ispirato a un libro, ma soprattutto ad un evento storico assai rilevante nella cultura francese: quello dell'ultimo duello di Dio (un duello, con valenza giuridica e decretato dal Re, che si riteneva avesse implicazioni anche divine, che Dio non potesse fare vincere chi fosse nel torto) in terra d'oltralpe, avvenuto nel 1386 tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, dopo il riconosciuto stupro della moglie del primo da parte di quest'ultimo. Anche se la questione è soggetta ai vari revisionismi del caso. Ma Scott non se ne interessa, e punta sulla verità storica più ricorrente, e appunto trattata nel romanzo.
La particolarità del film, è che Scott ricorre al punto di vista, dividendo l'opera in tre parti. Utilizzando lo stesso espediente narrativo, per intenderci, già caratteristico di una serie come The Affair. Per fare un esempio recente, in cui la suddivisione per capitoli era simile, anche per il riavvolgimento netto della storia; ma il riferimento più giusto è senz'altro quello all'epocale Kurosawa di Rashomon. In tale modo, si potranno cogliere le sfumature tra le diverse (ma non così tanto, anzi, riguardo all'episodio fatale ed incriminato) versioni, ma soprattutto come i tre protagonisti vivessero i rispettivi rapporti all'interno di questo menage a trois.
The Last Duel, non ha la raffinatezza infinita del capolavoro con cui Scott esordì sfidando metaforicamente nientemeno che Kubrick, ma è bensì più simile, esteticamente, allo Scott che abbiamo ammirato da Il Gladiatore in poi e nei suoi film storici ed epici dagli anni '00 ad oggi. Sempre al netto delle licenze, che sono state spesso criticate, ma sono fondamentali per il discorso artistico di Scott, al di là ovviamente dei legittimi gusti.
L'esperienza estetica con Scott è sempre stata centrale e non è mai venuta meno. Di certo, nel corso del tempo, è aumentata però la brutalità e la spettacolarità della sua messa in scena da kolossal.
The Last Duel non fa certo eccezione: è un prodotto imponente, stilisticamente ineccepibile, dotato di un cast eccezionale.
A spiccare, è soprattutto la figura di Marguerite, la giovane donna vittima di stupro. Una figura senz'altro insofferente, che forse sarebbe una forzatura definire "moderna", ma indubbiamente dotata un coraggio molto al di sopra rispetto alla media della propria epoca.
Il film di Scott fa emergere soprattutto lei, questa donna trattata come oggetto al pari di una terra, tradita, violentata e maltrattata, ma capace di una enorme forza d'animo.
Scott, di certo, non può essere accusato di ritrarre un'epoca del passato in modo idealizzato o apologetico, ma altrettanto certamente non nasconde mai la propria fascinazione per rituali, battaglie e forme appartenenti a mondi passati alla storia.
Per me, un gran film, affatto imparziale, come dicevo, riguardo alle colpe dell'ex scudiero morto col marchio d'infamia Le Gris né alle brutture maschili in generale. In questo senso, non si può non pensare al fatto che Scott sia pur sempre il regista di Thelma e Louise, che resta uno dei veri, pochi e autentici manifesti femministi cinematografici della nostra generazione.
Pur nel cambiamento e nell'evoluzione del proprio stile, Scott - che non ha l'afflato crepuscolare e non è interessato a mostrare la fine di qualcosa, ma piuttosto a mettere in scena lo spirito di un epoca, volgendo, come sempre, lo sguardo anche al nostro presente -, resta tuttavia coerente, e dimostra di essere tuttora in pista, di avere ancora molto da dire e da dare al cinema.
Lunga vita a nonno Ridley.
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