1978... A pensarci bene, trascorsi ben quattro decenni, devo ammettere che per me è stato un anno piuttosto importante. Non che sia successo nulla di particolare nella mia vita, se non che compivo cinque anni, ma è a quell'anno che risalgono i miei primi ricordi mondani, non legati, cioè, strettamente alla mia sfera personale o famigliare. Ci sono, ad esempio, i primi fatti di cronaca che siano rimasti impressi nella mia memoria: c'è una fase particolare del sequestro Moro, quando furono fatte esplodere alcune cariche per smuovere il fondo di un laghetto di montagna dove una falsa pista aveva indicato che fosse stato sommerso il cadavere dello statista; c'è una vaghissima immagine di me che guardo con la mia famiglia una partita del mondiale in Argentina; c'è sicuramente la fumata bianca d'ottobre in Vaticano.

Poi ritrovo i miei primi veri ricordi legati alla musica pop: ci sono i Queen che intonano in coro "BAAAAAAAISICOL - BAAAAAAAISICOL", ci siamo io e mia sorella maggiore che giochiamo a mimare il testo di "Sara" di Venditti, c'è Kate Bush che si esibisce all'Arena di Verona per il Festivalbar, scatenando in me una cotta che non mi è ancora passata. E poi un ritornello, probabilmente sentito di sfuggita alla radio, che mi è rimasto abbastanza inspiegabilmente appiccicato: "Ma adesso vivo cantando...". Fra parenti, amici e conoscenti vari sono sempre stato l'unico a serbarne il ricordo, tanto che ad un certo punto ho pure pensato di essermelo inventato di sana pianta. Poi sono arrivati Internet e i motori di ricerca, e finalmente ho scoperto che è tutto vero e che il brano si chiama "Cantando", tratto da "Uno", unico album di una sorta di supergruppo dell'epoca, i Fantasy.

Dietro la sigla, si trovano alcuni nomi importanti del pop a cavallo fra anni 70 e 80: Riccardo Fogli e Viola Valentino, Danilo Vaona, arrangiatore e compositore, Luigi Lopez e Carla Vistarini, autori di svariati tormentoni di quegli anni, il tutto coordinato dal produttore Giancarlo Lucariello (dai Pooh al primo Eros Ramazzotti, una sorta d "padrino" del pop italiano) e da Tony Cicco della Formula 3, impegnato al canto, alla batteria e alle tastiere. Pop che più pop non si può, quindi, ed è qui che sta il problema, perché, da quando l'ho (ri)scoperto, "Uno" è diventato inevitabilmente la mia "guilty pleasure", un piacere che faccio una grande difficoltà ad ammettere; ma queste pagine sono qui anche per questo, espiare i nostri peccati musicali con una piena, libera confessione.

E non posso negare di vergognarmi un po' nel parlare di "Uno", uno degli album più disimpegnati e leggeri mai usciti dalle sale di incisione del nostro Paese. A volte dà l'impressione di sentire gli Abba che cantano sotto la doccia, mentre in alcuni episodi l'lp risulta francamente imbarazzante, come in "Mama Don't Cry" e "Thank You Baby", brani che rischierebbero di sfigurare anche nella colonna sonora di un film con Alvaro Vitali e Lino Banfi. A livello di testi forse va anche peggio, fra rime sconnesse declamate da voci iper-effettate (e quindi spesso incomprensibili), un paio di episodi in inglese da terza media, pasticci franco-italiani consoni più all'animazione in una colonia estiva che ad altro e parole a cui viene volutamente fatto perdere il significato a furia di ripeterne le sillabe (un esempio? "Dimmi - Dimmi che m'ami m'ami m'ami m'ami - Dimmi - Dimmi - che mi vuoi bene bene bene).

E tuttavia, vista la levatura dei nomi coinvolti nel progetto, nell'album fanno bella mosra di sé anche svariati momenti di un certo fascino, senza i quali mi verrebbe il dubbio di essere un patologico masochista. "Cantando" sarà pure musica leggera, ma di quella composta, arrangiata e suonata con tutti i sacri crismi, la strofa quasi spiazzante nelle sue tonalità via via discendenti, poi un breve raccordo strumentale come non se ne sentono più e via, il ritornello liberatorio da cantare a squarciagola. Cicco porta con sé una timida strizzatina d'occhio ai suoi trascorsi con Battisti e la Formula 3 in ballatone come la malinconica "Scende la sera", la delicata, sussurratissima "Fantasia" e "Bye Bye Cecilia", che si pregia di un bel lavoro di basso e un fiabesco crescendo di tastiere sul finale. "L'ultimo giorno", brano che apre l'album, sorprende per il suo porsi esattamente a metà strada fra l'atmosfera festaiola delle hit di Raffaella Carrà e il prog nostrano, con in rapida successione romanticissime strofe in 4/4 e ritornelli formati da battute di diversa misura e cori quasi all'Electric Light Orchestra. E fondamentalmente non dispiacciono anche due brani volutamente decerebrati come la discotecara "Hollywood Superstar" (appiccicosissimo il ritornello, quasi da canzone infantile), e la campagnola "Oh cara", che sicuramente Renzo Arbore avrà ascoltato per bene prima di scrivere la sigla di Quelli Della Notte. Anche i testi, a prestare una maggiore attenzione, hanno i loro momenti felici, fra "cento lire di castagne per scaldarci un po' le mani, il cuore" e momenti di sincera poesia naif come "sulla tua spalla dormiva una farfalla".

Se si rivede il tutto in prospettiva storica, poi, un album come "Uno" trova anche una sua giustificazione. Era il 1978, in piena epoca di "reflusso", e cioè il rifiuto generazionale di qualsiasi impegno ideologico, politico ed intellettuale dopo l'indigestione di militanza del decennio precedente. Si tratta dello stesso humus su cui riuscì ad attecchire anche il successo di Renato Zero, tanto per intenderci; per i Fantasy, certo, i livelli di spensieratezza sono immensamente maggiori, ma il talento e la professionalità ci sono, e anche brani volutamente banali ("Emy", per esempio) riescono a trattenere una propria dignità e piacevolezza. Più avanti il "reflusso" avrà ben altri effetti, e la spensieratezza si trasformerà in sciatteria, con i primi posti delle classifiche occupati da sigle dei cartoni animati, bambini incontinenti, i "Souvenir d'Italie". A confronto, questa mia "guilty pleasure" (che ho il piacere di condividere tramite questo link: https://www.youtube.com/watch?v=qE2Vbt3pltI) non è, dopo tutto, così tanto "guilty"!

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