Non sono tanti i vinili che con molta eleganza ho sottratto alla collezione dei miei familiari, facendo tesoro dell' inevitabile eta' che avanza e dei conseguenti vuoti di memoria, a vantaggio dei miei ancor vividi ricordi e del particolare affetto nutrito per alcune opere che mi avevano colpito da bambino e che ancora oggi e' come se ripercorressero la mia esistenza nell' arco di due facciate.
Questo secondo album degli AUDIENCE, pubblicato nel 1970, ha sempre vissuto nell'ombra del successivo e maggiormente celebrato THE HOUSE ON THE HILL, album che vanta una produzione impeccabile, e ogni volta che mi e' capitato di imbattermi nel nome di GUS DUDGEON nei credits di un disco spesso quel disco mi e' finito sottobraccio come per magia. Ma in questo caso, ed e' il motivo che mi ha spinto a scrivere questa recensione, mi sembra giusto sfatare la certezza che da sempre accomuna gli unanimi giudizi sulla discografia di questa sottovalutata band inglese.
Il 1970 e' sicuramente la svolta nella loro pur breve carriera: reduci da un'esperienza live come backing band dei LED ZEPPELIN, con un JIMMY PAGE furbescamente pronto a memorizzare gli accordi di MAIDEN'S CRY tenendoseli buoni per quelli di STAIRWAY TO HEAVEN, vengono notati da TONY STRATTON SMITH, boss della CHARISMA in cerca di talenti da inserire nella sua fiammante scuderia: il precedente contratto con la POLYDOR viene chiuso e la band finisce in sala d'incisione senza un produttore di ruolo, scelta inusuale per i tempi.
Cosa ci si poteva aspettare da un quartetto giovane, senza una guida in studio, senza un chitarrista elettrico e senza un tastierista? Sicuramente del talento, e un songwriting davvero speciale: con queste caratteristiche Stratton Smith poteva considerarsi fortunato visitando gli Olympic e i Morgan Studios di Londra, sbirciando i ragazzi all'opera in piena liberta' creativa, come un fattore compiaciuto dei propri polli ruspanti allevati a terra.
E cosi' e' il sound, assolutamente ANTI-OGM, lontano da orpelli e barocchismi che serpeggiavano senza indugi in quella scena, quasi a voler sottolineare un non allineamento, optando per uno stile proprio gia' presente nell'album d'esordio ma non ancora messo a fuoco, e con le carte migliori ancora da giocare.
Una sezione ritmica vigorosa e' quello che ci vuole per il testo di NOTHING YOU DO, pieno di insofferenza resa palpabile dal particolarissimo timbro vocale di HOWARD WERTH, a cui non fa difetto un'estensione graffiante seconda solo a quella di ROGER CHAPMAN, dono di un background di ascolti a base di RAY CHARLES e JAMES BROWN. La sua chitarra acustica dalle corde in nylon e' ugualmente aggressiva, a tratti quasi elettrificata, sempre in attesa delle escursioni fiatistiche di KEITH GEMMELL, che si tratti di un doppio clarinetto sovrainciso o di una sfuriata di flauto traverso, sono comunque invenzioni straordinarie. BELLADONNA MOONSHINE, dal piglio folk a modo loro, ha il potenziale degli hit singles che di li' a poco i colleghi d'etichetta LINDISFARNE proporranno, ma qui manca quella ruffianaggine, e IT BRINGS A TEAR lo dimostra con una melodia assassina da lost ballad difficile da dimenticare. Un qualsiasi produttore avrebbe fatto scempio della libera improvvisazione fricchettona che imperversa in RAID, lungo episodio a narrare dei tentativi vichinghi nell'invadere le isole britanniche, quasi hard nella tensione interpretativa e impareggiabile gioiello Prog-Psych. Le delizie continuano in RIGHT ON THEIR SIDE, sostenuta da una ritmica entusiasmante, TREVOR WILLIAMS e TONY CONNOR sviluppano trovate in bilico tra il jazz e l'hard rock, profumato humus per voci e fiati inarrestabili. Un break lo concede soavemente EBONY VARIATIONS, una sorta di sketch elisabettiano per clarinetto solista, inizialmente compito, poi libero di esprimersi come meglio crede, anche a mo' di accelerata quadriglia...meravigliosa bizzarria. PRIESTESS, dal testo macabro e anticlericale, quasi un anticipo di certi temi trattati da IAN ANDERSON in AQUALUNG, alterna un energica parte vocale a uno splendido intermezzo centrale da autentica free-jam per ritornare al tema iniziale in modo a dir poco rocambolesco...questi suonavano da far spavento!
Purtroppo si arrivo' presto alla conclusione che i polli allevati a terra sono belli, ma messi in gabbia e nutriti a pastoni industriali avrebbero reso di piu'....questo sara' il notevole e sovrarrangiato THE HOUSE ON THE HILL...inutile dire che la libera fantasia di quest album era gia' un ricordo.
I HAD A FRIEND, WHO HAD A FRIEND THAT KNEW A MAN
THAT DIDN'T LOOK UNLIKE TOULOUSE LAUTREC.
Solo questo verso e' da 5...;-)
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