È possibile immaginare la discografia degli Autechre come un processo di progressiva disgregazione dei legami gravitazionali di alcuni corpi la cui massa è sempre maggiore e sempre più rarefatta. Per dirla in modo meno affascinante, come un sistema solare. Dai primi dischi, più umani, più regolari, più definiti (da Incunabula a Tri Repetae) alla fascia più glitchata e irregolare, densa di satelliti-EP (da Chiastic Slide e LP5 fino in fondo al 2010, il minore Oversteps), la zona più alta del duo, dove l'attenzione al dettaglio si mescola con un'ispirazione che dovette apparire inesauribile. Da Exai le cose, e chi sa mi darà ragione, si fanno sempre meno dense, le distanze si allungano con una vertigine esponenziale e ogni disco è sempre più immane.
Quest'anno arriva dallo spazio profondo un monolite senza precedenti, una lastra atra proveniente dall'inconscio del cosmo, un Oumuamua gelido e espanso. Innanzitutto apprezzare la natura degli output recenti degli Autechre, sempre meno compromissori, sempre più banalmente ma veramente alieni. Questo behemoth consta di quattro sessioni di due ore ciascuna, per un ammontare finale dalla ripidissima durata di otto ore, il doppio del precedente elseq, già proibitivo.
Prosegue, dicevo, la disgregazione sonora. I pezzi sono sempre più gassosi, più informi, più avulsi da mano umana. Si ha l'impressione di scrutare meccanismi stranieri, non euclidei. Leggi e strutture inafferrabili. Già il primo pezzo, t1a1, offre una panoramica pienamente ostile, una selva di immensi riflessi di lamiere schiacchiati da masse deviate. Fortunatamente tutti i pezzi sono differenti tra loro, pur mantenendo un'identità d'insieme. bqbqbq è un dedalo nel quale è appena possibile intravedere uno spettro di un qualche pezzo di Richard D. James. Inutile, è chiaro, proseguire a descrivere gli altri pezzi.
Che c'è di diverso dalle opere precedenti? Il mio sospetto, forse destinato a rimanere tale, è che i due mettano sempre meno mano personalmente ai mostri che producono, lasciando ai suoni stessi le mani in pasta. Già in elseq ne avevo il sentore, e qui i titoli di molti pezzi (clustro casual, dummy casual pt2 – peraltro un pezzo incredibile, ecc) mi spingono sempre più a credere che la componente computerizzata della loro musica sia sempre più prevalente. Come dare un imput a un sistema dotato di valori in parte casuali e poi ritoccarne l'aleatorio risultato. È rigoroso arrivare a questo, e chi conosce la loro produzione ne converrà con me. Della triade in questo stile (Exai-elseq-NTS) questo è il maggiore. Accanto a pezzi indubbiamente più deboli, come i più brevi o turbile epic casual, stpl idle (in generale le parti meno interessanti sono la seconda parte della prima session, insieme con il secondo "volume", ad eccezione di violvoic, dummy casual e e0; io consiglierei di passare da l3 ctrl direttamente a splesh al primo ascolto) troviamo capolavori incredibili, come debris_funk, tt1pd, forse la cosa più mostruosa degli Autechre, un nugolo sonoro del tutto fuori controllo, per finire con il drone biblico di all end, fine disco, non un titolo dai risvolti melodrammatici come vogliono alcuni ma un semplice comando da impartire a un programma, un recidere docili canali. Resta solo da accarezzare l'agrodolce idea che nulla più di questo sarà giusto far uscire a nome Autechre, solo stralci sempre più ampi di suoni in accelerata totale sul presente – non ci hanno abituato a nulla di meno.
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