"Timeless...ageless...ethereal beauty

bestow thy dark enchantment

blissful death

so begins the autumn dance"

In questi versi giace lo spirito di "Love Poems for Dying Children - Act I", raffinato esordio degli Autumn Tears.

Uscito nel 1996 in tiratura limitata, l'album finisce fuori catalogo in un batter d'occhio, e questo sarà il suo destino per più di un anno, fin quando la Dark Symphonies avrà il buon cuore di ristamparlo e restituircelo in una nuova veste: questo provvidenziale "Reprise MCMXCVIII", che brilla di una nuova ed elegante confezione e di una produzione nettamente superiore all'originale.

Pervaso da atmosfere decadenti, estremamente tese e drammatiche, ma illuminato da un talento melodico fuori dal comune, "Love Poems..." è il primo dolente movimento di una sofferta trilogia che proseguirà con i buoni, ma a mio parere minori, "Act II - The Garden of Crystalline Dreams" (del 1997) e "Act III - Winter and the Broken Angel" (del 2000).

Insieme agli svedesi Arcana, gli americani Autumn Tears sono a mio parere da annoverare fra i più degni eredi dei seminali Dead Can Dance. Assolutamente scevra da influenze etniche, derive paesaggistiche ed arrangiamenti barocchi, la musica di Ted (tastiere e voce) ed Erika (voce) restringe il range espressivo di quello che potremmo definire un supplizio musicale senza tempo e va a concentrarsi, ad incunearsi, in quell'attimo - frazione di tempo infinitesimale ed al tempo stesso infinita - in cui la fiammella della Vita, danzando, vacilla un'ultima volta e si estingue per sempre dall'occhio febbricitante del morente.

Il gelo delle labbra marmoree dell'Angelo della Morte che ci sfiora la fronte in un ultimo bacio fatale; il vento gentile che ci fa lievitare e ci conduce, amorevolmente sospesi, nelle braccia della Morte: questa è la musica degli Autumn Tears, un sublime concentrato di eleganza e decadenza, petali di rose morte, immortali nella loro bellezza, il cui profumo Shakespeare amava così descrivere: of their sweet deaths are sweet odors made.

La voce angelica di Erika, dolente eterea impotente testimone dell'inevitabile Destino di tutti noi, e gli avvolgenti controcanti di Ted si intrecciano con le flessuose armonie di organo e di pianoforte, vagamente tributanti l'estro dell'immortale Johann Sebastian Bach. Una dolce marcia funebre che non ha niente di minaccioso, non ha niente di straziante, ma che suona in verità come una liberazione, un placido transitare verso un luogo "Altro": il sommesso, doloroso, dignitoso procedere lungo un fitto sentiero boscoso, a piedi scalzi, dove l'umido terriccio lascia spazio, passo dopo passo, a gelidi pavimenti senza tempo, in un corridoio oscuro, attraverso volte di ossa perenni che misurano lo spazio infinito fra la Morte e quello che ci lasciamo alle spalle. Quello che è stato e che non torna più.

Il sibilare del vento di notte, fra le fronde esauste di arbusti ripiegati in pose di impotente remissione alla Vita, ci conduce a "They Watch with Closed Eyes": un unico accordo di organo, immobile, come se fosse suonato dalla mano inerme e rigida di un cadavere - ma dal sangue ancora caldo. Volteggia leggiadra la voce di un angelo che ha il sapore d'incenso, sillabe scandite come le lacrime di una madre che lenisce con il proprio abbraccio i dolori dei propri figli: "La danza della Vita e della Morte".

Le quattro sezioni che compongono la bellissima suite "Ode to my Forthcoming Winter", che ritrae il trascorrere delle stagioni, impressionano per la capacità di descrivere, di indurre visioni, di comunicare l'Inesorabilità del Tutto. In particolar modo l'atto dedicato alla primavera: come si può, mi chiedo, dipingere con i colori della tristezza e del dolore il lieto e vitale impeto primaverile? Gli Autumn Tears ci riescono, possiedono una tavolozza ricca di colori gli Autumn Tears, ricca ma di colori spenti. E mi salgono le lacrime agli occhi mentre una fuga d'organo sorregge il volo inquieto delle rondini, le cui ombre lunghe oscurano i prati ondeggianti al vento, ove sbocciano fiori neri dai petali sangue vermiglio, ove alberi rinsecchiti tendono disperati le loro braccia al cielo pallido, ove lugubri api e farfalle transitano stancamente da una corolla floreale all'altra, avide di un nettare che non darà certo loro l'immortalità: è il canto rassegnato della stagione della Vita, che effimera sboccia, per poi sfiorire, appassire e nuovamente morire, come incatenata in un tragico incantesimo.

E come l'estate è il sonno inquieto della Vita, sospesa, in attesa di essere risvegliata (come in un sogno dalla realtà) dall'autenticità della Morte, l'autunno incalza finalmente: è la danza dolente delle foglie dormenti che piovono silenziose dal cielo, l'invisibile balletto degli alberi che sussurrano, atterriti, i sogni di un inverno che deve ancora giungere, ma del quale si odora il fiato. La voce di Erika cade a picco come le foglie, l'organo di Ted tesse malinconiche melodie come solo sanno i venti d'autunno.

E poi l'inverno: il gelo, l'immobile stasi della Morte, i rintocchi cristallini del pianoforte che picchiettano come candida neve sulla superficie opaca della nostra finestra, mentre i nostri occhi fanciulleschi assistono impotenti alla lenta sepoltura del Mondo che scompare, lacrima dopo lacrima, sotto il pallido, funereo, cadaverico manto della Morte. La brezza gentile, la tempesta furente, le ombre vellutate della Notte, i torrenti impetuosi che confluiscono nelle lacrime di chi ha perso tutto.

"The Eloquent Sleep" è un maestoso, epico, tragico cavalvare di archi. Poi due voci che si fondono nell'androgino, sensuale, immortale canto dell'Eterno Riposo. Un pianoforte che danza senza speranza su una lenta processione di note, che precipita nel mondo che dorme, che ci conduce attraverso i suoi sogni silenziosi. "And Then the Wispering...": fraseggi di organo, non più vorticosi ed incalzanti turbini metafisici, ma desolanti rovine che addobbano il vuoto che ci circonda. All'unisono gli amanti tessono il loro canto di disperazione, di amore perduto: un amore pudico, gentile, nobile. Monta un piano elefantesco, come disperate unghie che graffiano, che si incrinano, che si infrangono contro la parete nell'intento di scongiurare la caduta inevitabile. Il dolore lacerante dei ricordi, di quello che è stato e che non tornerà, quel dolore che può essere placato solo con i baci teneri della Morte, con le morbide carezze del Sonno, come balsamo su piaghe sanguinanti. "One Tender Kiss (The Lost Seasons)": una sentenza tonante, solenne come i rigoli di sangue che scorrono silenti nei solchi aridi di un cuore senza Vita. La Luce in fondo al buio, la Luce illusoria in fondo al buio.

In "Carfax Abbey" sono accolte la chitarra acustica di Joe e la voce di Devon dei connazionali December Wolves, dediti, pare, ad un infuriato quanto anonimo black metal. L'apice della desolazione, la morte dell'Amore e del Dolore: il rito finale si consuma in una sperduta e fatiscente abbazia perduta come un rudere in fondo al bosco, al suono del vento e dei fruscii della notte, fra le erbe umide di lacrime, edere e i muschi azzurrini, inermi testimoni dei secoli che marciano verso la polvere del nulla. E quando le spire della Morte sembrano averti definitivamente rapito, ecco il latrato demoniaco, inaspettato, terribile nella sua perfidia, un sussulto nel silenzio, il cuore che batte all'impazzata: la Fine sta veramente giungendo. Sebbene attesa, sebbene accettata: così tremendamente ardua da affrontare.

L'edizione del 1998 si chiude con "The Intermission": aperto dallo scroscio della pioggia, il brano si rivela essere tutt'altro che un episodio di mero riempimento. Incastonato a perfezione entro il più ampio fluire del concept (una storia fantastica, tratta da una novella della stessa Erika), il brano si amalgama armoniosamente alle atmosfere crepuscolari dell'album, avvalendosi, fra l'altro, del prezioso contributo della nuova vocalist Jennifer, che entrerà a far parte dell'ensemble dal terzo atto della trilogia. Leziosa nei suoi gorgheggi da soprano, la sua voce si congiunge felicemente al canto etereo ed espressivo di Erika (che lascerà la band per un breve periodo - farà ritorno nel 1999 senza mancare alcun appuntamento discografico - per potersi dedicare a pieno regime alla sua attività di scrittrice).

"The Intermission" è in realtà l'anello di congiunzione, la porta che apre al secondo atto, il luogo dove si scontrano le illusioni, il disincato e il miraggio variopinto dei Giardini dei Sogni Cristallini. Le percussioni trottanti di Jim West (produttore della band) incalzano con orgoglio gli ultimi fatali versi di rivincita, di impeto, di mancata rassegnazione, di rivendicazione di una propria esistenza, di una propria dignità, di una propria ragion d'essere nella Morte.

A prescindere da Dio, a prescindere da quello che si è sempre creduto ci fosse al di là del baratro, a prescindere dalle pietose illusioni che ci siamo fatti da vivi.

L'incapacità, l'impossibilità di accettare la propria Fine.

L'amarezza che tinge l'Ora più triste.

Il supplizio è appena iniziato: i fanciulli morenti si stanno per ricongiungere alla loro madre...

Carico i commenti...  con calma