Mi sono infrattato malissimo nelle ondate emo del nuovo millennio: gli anni dieci sono stati un fermentare inusuale di band dai twinkle (indie+midwest) agli skramz (soft screamo praticamente), passando per la emoviolence e una specie di emo-garage che riprende un pop punk più onerovole e si infrange nel muro del power pop.
Di recente sto subendo l'ingresso prepotente della nuova generazione di emoboyz, sto subendo, io da solo.
Nessuno sta seguendo il bandocampo e il saundoclaudo così assiduamente come lo sto facendo io in questo periodo: il mescolarsi di shoegaze, post-hardcore, bedroom lo-fi, ambient, dream pop, chiptune e nintendocore, noise rock e garage punk con una base granitica emo che, seguendo i vari orientamenti che ci ha dato lo scorso decennio, sono il riassunto di quattro decenni apparentemente pachidermici che riescono ad essere freschi anche se sono appena stati scuciti dal freezer.
Non voglio dire che Avenade è l'archetipo di questa sottospecie di post-post-emo (perdonerete la fantasia) ma davvero ci ritroviamo di fronte un disco adolescenziale ma anche maturo (parliamo di un ventenne) che riesce, in un compromesso impossibile, ad unire My Chemical Romance e Cloud Nothings e non far per nulla schifo al cazzo.
Il punto è la riuscitezza di un disco al contempo etero ed omogeneo con bordate powerviolence e soffuse parte dream, un genio involutivo.
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