Quando c’è la firma di Arjen Lucassen le aspettative sono sempre alte e tanto ci si aspettava anche da questo “Transitus”. Ma non sempre le aspettative si traducono in fatti concreti.
“Transitus” è o non è un grande album? Non saprei, probabilmente sì, perlomeno è degno del suo nome, ha tutti gli elementi che hanno reso amato il progetto Ayreon. Ma stavolta sembra che manchi qualcosa. Gli ingredienti sono più o meno gli stessi, è sempre un rock/metal teatrale di grande impatto, con un minor numero di elementi folk ed elettronici, con un’impronta leggermente più gotica e ottocentesca e con un approccio generalmente più diretto, ma è proprio questo voler essere più diretto a rappresentare un rischio, a giocare a volte brutti scherzi. Più che altro si ha l’impressione generale che vi sia una certa sufficienza negli arrangiamenti, non c’è nulla di davvero grandioso che faccia sobbalzare dalla sedia. Dove sono finite quelle belle cavalcate metal, quegli assoli di synth e quei bei tripudi elettronici, quegli organi poderosi, quel folk sfavillante? Qua sembra tutto decisamente flaccido, fiacco, le chitarre non ruggiscono e come loro le tastiere, gli archi, i flauti e quant’altro, tutta l’impalcatura sonora sembra fragile e sul punto di crollare. Inoltre le trame strumentali si limitano a passaggi stitici e non evolvono mai in qualcosa di davvero maturo e consistente. Pesa poi l’eccessivo numero di tracce, 22 (sarebbero 27 ma “Fatum Horrificum” è a tutti gli effetti un’unica composizione), che unito alla poca varietà rende l’album poco scorrevole facendolo sembrare eccessivamente lungo. È il classico “compitino” consegnato in cattedra senza grosse pretese, più che sufficiente ma svolto dall’alunno che aveva abituato tutti alla media dell’8.
E poi non c’è una vera e propria evoluzione stilistica né un vero e proprio coraggio di osare, Lucassen ha ringraziato i fan per il successo dell’album (raggiunto il primo posto nei Paesi Bassi) lodandoli per l’apertura mentale con cui hanno accolto un album diverso dal solito, ma sembra che di diverso non ci sia granché, a parte la già citata atmosfera gotica nel complesso sembra un riciclo di idee già ampiamente sfruttate ma stavolta espresse non al massimo. In poche parole: Lucassen stavolta ha esaurito le idee ma ha voluto buttarle giù lo stesso.
Tutto fa il suo tempo e potremmo affermare che anche l’Ayreon sound abbia fatto il suo tempo. Sarò controcorrente ma sostengo che Lucassen abbia avuto molto più coraggio nell’arco di tempo che va dal 1995 al 2004; nella prima fase del progetto Ayreon ogni album era diverso e con una sua identità: l’atmosfera molto medioevale di “The Final Experiment”, l’elettronica sci-fi di “Actual Fantasy”, il più variegato e complesso “Into the Electric Castle”, lo space rock pinkfloydiano di “The Dream Sequencer” e come controparte il prog-power metal energico di “Flight of the Migrator”; dopo ha trovato una formula “all inclusive” con un doppio disco che raccoglie diversi stili, una formula che si è dimostrata la più efficace e che ha prodotto senz’altro i lavori migliori del progetto… ma si sapeva che ad un certo punto sarebbe diventata stantia e non avrebbe funzionato allo stesso modo. Ma sembra che il buon Arjen se ne sia accorto, tant’è che ha annunciato di essere al lavoro sul terzo lavoro di Star One, l’interessante progetto di metal spaziale che di sicuro ha ancora molto da dire.
Conclusione: “Transitus”, sottolineo, non fa cagare, non è certo un disco trap o reggaeton, è pur sempre un disco degli Ayreon e si sente, ma si limita ad essere qualitativo e dignitoso senza decollare, ci si aspettava molto di più. Forse l’album delusione del 2020?
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