Per me Azie Lawrence è un perfetto sconosciuto. Di lui so solo che ha inciso qualche 45 giri per la Blue Beat nei primi anni '60. E' il solo motivo per cui lo conosco ed è il solo per cui ho scritto questa recensione. Il suo brano più celebre è un singolo ska: “Pempelem”, che è forse il nome della signorina di cui si parla nel testo (pura ipotesi). Una signorina che fa la fruttivendola, ma che è pronta a donarti il suo “west indian fruit”, ammesso però che tu abbia un po' di “loot” da darle in cambio. Insomma, è una di quelle che non la danno via gratis.

E gratuite non sono nemmeno le rarissime copie di questo singolo. Parlando con esperti del settore sono venuto a sapere che questo pezzo (la prima stampa del '64) è normalmente reperibile intorno ai 700 euro. Proprio per questo l'originale sono riuscito a sentirlo “suonare” due volte in croce dal giradischi di un dj affermato e appassionato. (Aver resa nota l'esistenza di questo pezzo, attraverso qualche particolare, a chi non lo conosceva, mi rende già soddisfatto. Se pure a voi basta, fermatevi qui. Se invece volete annoiarvi, potete continuare qui sotto) E devo dire che una certa impressione me l'ha fatta. La prima volta che l'ho ascoltato ero a una di quelle all-night che ben conosce chi bazzica un po' nell'ambiente mod nazionale. Si parte un po' tardi (a volte nemmeno troppo) e poi i dischi iniziano a girare per tutta quanta la notte fino al mattino se la gente c'è. Si balla senza sosta dallo ska alla northern soul, passando per r 'n' b, rocksteady ed early reggae. E capita spesso che si facciano pure quattro salti su qualche pezzo power pop revival '79 (di solito in chiusura). Valutandolo in sé, oltre all'ottimo tiro e al veloce quanto incisivo solo di sax non mi era sembrato poi così originale e mirabolante. Anche il testo, nonostante sia abbastanza divertente nei suoi doppi sensi, non è certo qualcosa di così introvabile. Per intenderci: la Blue Beat(come molte altre etichette del genere) ha probabilmente sfornato singoli molto più belli e storicamente più importanti. Quindi ora penserete che sia una roba che lascia il tempo che trova e che chi l'apprezza è magari un semplice stronzo che vuole tirarsela mostrando una maggiore cultura musicale rispetto a uno che di ska conosce solo Prince Buster. Non la vedo per niente così.

A questo punto è legittimo chiedersi cosa mi abbia preso prepotentemente, oltre alla consapevolezza di stare di fronte a un suono dalla così costosa rarità. La risposta sta nel fatto che Pempelem riesce a pizzicare le corde di una certa atmosfera, di una data storia e di un determinato sentire in modo pressoché unico. E', lo so, qualcosa di puramente soggettivo, ma quel connubio di voce, piano, ritmo e fiati è il solo che riesca a bombardarmi anche gli occhi. La musica si trasforma in un filmino di famiglia. La maggior parte di voi, come me, ne avrà ancora qualcuno sotto forma di cassetta, sulla quale siete stati registrati a due anni mentre vi cagavate nel pannolino e/o mentre tentavate invano di mettervi su due zampe. Allo stesso modo io rivedo in una botta sola quelle serate di cui parlavo: individui estremamente eleganti dimenarsi come se fossero nel bel mezzo di un rituale aborigeno industriale. Non più piume, pittura, tatuaggi o chissà quale gioiello d'artigiano, ma abiti, camicie, cravatte e parka. Per le donne capelli corti, ballerine e vestiti aderenti. Questi i requisiti della danza per la selezione sessuale modernista. Una danza tra alienati metropolitani spediti tra tribù di cacciatori-raccoglitori da un solo (sì, quello che ho prima ho descritto solamente come “incisivo”) più efficace di certe interminabili strombazzate di Jon Hassell.

Già, la soggettività sembra in grado di cambiare ogni nota, ogni cosa. Ma di fronte a tutta questa mia e altrui passione e a tutte queste mie belle fantasie idiote, cosa rimane in concreto?! Una sottocultura? Quattro stronzi di numero in tutto il paese che presto o tardi scompariranno? Non credo. Allora...la musica! Ma non è forse tra i piaceri più impalpabili che esistano? Stavo quindi per rispondere: “un rimando, un'associazione mentale”...e chi potrà mai vederla? Qualche neurologo del 5000 d.C. magari potrà farlo per me oppure questa stessa pagina virtuale ne è una testimonianza. Tuttavia le Temps mange la vie: questo sito ha le ore contate. “Debaser sta morendo”, tutti lo sanno e tutti lo dicono. Alla fine della fiera risulta chiaro che sto solo parlando di stantie e infantili vanità di ragazzini troppo cresciuti. Però vanità vive! E questo, ultimo fatto è ciò che più di tutto conta.

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