Istantanea 1983. Un timido e sconosciuto ragazzo scozzese, tal Roddy Frame, scende da Glasgow giù a Londra in cerca di fortune insieme al gruppo con cui nei primissimi anni ’80 ha realizzato una serie di apprezzati singoli pubblicati da una piccola etichetta. Il gruppo si chiama Aztec Camera, ma di fatto sono una sua creazione, fondamentalmente dei sessionmen dediti alle visioni armoniche di questo appena maggiorenne cantautore che si è messo in testa di mettere qualche brivido sulla schiena a Elvis Costello, che proprio in quel periodo sta finalmente ottenendo in Inghilterra quelle gratificazioni mai troppo elargite (specialmente dalla critica).
L’occasione è di quelle d’oro: registrare un album per la Sire records, avere dei singoli adeguatamente lanciati nelle radio e tutto quel che ne consegue: Roddy non se lo fa ripetere due volte, e il risultato di questo lavoro lo stiamo ancora commentando a più di 20 anni di distanza.
Piccola parentesi personale: ho scoperto gli Aztec Camera colpevolmente in ritardo, verso la fine degli anni '90 con un disco solista di Frame intitolato "North Star" che non mi piacque per niente. "Soft Pop per vecchi babbioni", pensai.
Cazzate. Grazie alla diffusione delle canzoni di gruppi come Travis o Belle & Sebastian sono risalito su su fino alle radici di quella tradizione del pop scozzese che sembra non essere destinata a finire mai.
Ma, ancora, non ero soddisfatto. Il loro disco più conosciuto, "Love" del 1988, incontrò i miei gusti fino a un certo punto: songwriting un po' prevedibile, suono troppo laccato... meglio i Deacon Blue a questi livelli, o i Waterboys.
Invece, sapevo che c'era una gemma, una perla che va ASSOLUTAMENTE riscoperta e riportata alla giusta ovazione, ed è appunto questo “High Land, Hard Rain” che senza nessun timore posso considerare come uno dei migliori album che abbia mai ascoltato, una raccolta di pezzi che mozzano il fiato per freschezza, immediatezza e irresistibile malinconia “made in Scotland”.
Ci sono almeno due hit che credo chiunque abbia tra i 25 e i 40 anni avrà sentito almeno una volta nella vita, "Oblivious" e "Walk Out To Winter" che sono degli autentici classici degli anni '80 a dispetto di chi considera la pop music di quegli anni come robaccia... queste due favolose canzoni ispireranno tantissimo i momenti più orecchiabili e leggeri di una band seminale come gli Smiths (ascoltare "Cemetery Gates" e "William, It Was Really Nothing" del complesso di Manchester per capire come), ma tutto l'album è delizioso dall'inizio alla fine, da momenti festaioli come "Pillar To Post" o "The Boy Wonders" a ballate eleganti come "Back On Board" e "Release".
Sonorità latine (allegre o tristi che siano) si uniscono magicamente a un gusto tipicamente britannico per la melodia e un cantato distaccato e coinvolto allo stesso tempo... brani bellissimi, imbattibili al punto da sminuire ai miei occhi persino i contemporanei Prefab Sprout di "Steve McQueen”, affrescati da arrangiamenti sorprendentemente impeccabili (considerando appunto che all’epoca Roddy Frame aveva a malapena 18 anni e che queste canzoni sono passate nel giro di pochi mesi da semplici demo casalinghi a illuminanti gemme di rara e sbarazzina bellezza).
In definitiva, un autentico capolavoro che fa storia a sé, al di là della produzione successiva del “gruppo”: se consideriamo il livello di competizione in cui “High Land, Hard Rain” ebbe a che fare al momento della sua pubblicazione (i favolosi esordi di Style Council, Everything But The Girl e Talk Talk, tanto per non citare forzatamente gli Smiths), si potrà capire come il genio musicale di questo ex enfant prodige non possa per niente al mondo ancora continuare ad essere “sottovalutato” in nome dei più beceri luoghi comuni legati alla musica pop degli anni ’80: Se potessi dare un consiglio a un teenager che pensa che il pop perfetto sia quello dei Coldplay o di James Blunt, gli direi di buttare nel cesso quei dischi e di dare a un ascolto a canzoni che avvolgono l’udito in un vortice estraneo dal tempo e dai sensi come “We Could Send Letters” o “The Bugle Sounds Again”, oltre ovviamente a quelle già citate.
A volte, la “maturità” rischia di peggiorarti. Fortuna che esistono ancora i ricordi, e dischi come questo.
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