L'uomo comune, preso ogni sacrosanto giorno a calci nel fondoschiena, possiede, tra i suoi molteplici tratti costitutivi, il desiderio d'evasione... o perlomeno le persone sensibili e sognatrici come me. Ad esempio, in una delle tante dissertazioni filosofiche che divoro quotidianamente, ho letto il seguente quesito: "Perché desideriamo sempre persone da noi lontane, e non cerchiamo di attrarre quelle vicine?" ("E sticazzi -direte voi- vuoi mettere la Portman contro la brunetta della mia classe dal culo a tinozza?") Ad ogni modo, io sono come la Bovary: tutto è sempre inferiore alle mie aspettative, sono un incontentabile cronico. Tuttavia, considerato il mio Super-io dispotico, l'unico modo che ho per librarmi altrove è la musica; e i dischi allucinati e allucinanti, come questo "Chronicles Of An Aging Mammal" degli Azure Emote, sono la mia panacea.

Anzitutto, io credo che annoverare tra le proprie muse un gruppo come gli Ulver non sia mai malvagio. D'accordo, forse il progetto di Mike Hrubovcak (affermatosi con bands quali Vile e Monstrosity) non raggiunge le vette astrali dei norvegesi, ma è fuor di dubbio che nella sua testa calda circolino molte idee valide, che si traducono nei vari spunti talentuosi che possiamo cogliere in un lavoro come questo. Descrivere in modo univoco il disco è impresa ardua, se non impossibile: operando tramite una generalizzazione estrema (cosa che non mi piace fare), potremmo dire che si tratta di un arzigogolato Avantgarde-Industrial-Death metal che si declina nelle direzioni più disparate. Si passa così dall'ugola dolce come il miele di Laurie Hause in un pezzo granitico come "Justified End" alle genialate di "Complex 25" (dove è anche possibile contemplare un passaggio Brutal, oltre alla chitarra acustica), dai gorgoglii della Bestia alternati ai cori della Bella di "Behind These Speechless Eyes" al caos tranquillo di "Procreation Abnegation". Il tutto amalgamato in un misturòn che abbraccia anche elementi noise ed elettronici, e accoglie in sè i samples più bizzarri che avrete udito da lungo tempo a questa parte.

Abbiamo per le mani un disco variegato e complesso, una sorta di Giano che nella prima parte fa parlare il volto più aggressivo, nella seconda quello più mistico e introspettivo. Ma non si possono non sottolineare due pecche. La prima, ovvia: per qualcuno "Chronicles" potrebbe risultare semplicemente il prodotto di una foca monaca che si diverte a suscitare uno stupore fine a se stesso (insomma: il caro e vecchio "il troppo stroppia"). In secundis, secondo il modesto parere di chi scrive, il disco perde, e non poco, nella seconda parte, nonostante sia presente un'atmosfera evocativa e a tratti quasi religiosa ("Cosmic Tear") che potrebbe essere molto interessante (gusti personali, ci mancherebbe, è che se non sento una mitragliata non sono contento). Insomma, c'è chi ne andrà pazzo, c'è chi lo boccerà: io resto sospeso tra questi due estremi. Perché per il capolavoro manca ancora qualcosa, ma il gruppo della città dell'amore fraterno evidenzia i barlumi del vero talento. Ed è sempre meglio della Rebecca Bleah di turno.

In conclusione? 3,5. Arrotondato a 4, perché sono buono.

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