Qualche sabato fa, vagando fiaccamente per la città, scorgo sul muro di un vicolo alquanto inutile una minuta locandina che desta la mia attenzione (magia della musica): la sera stessa suonerà nella mia citta Bernard Fleischmann. Bene, ecco il segnale che attendevo, che mi annuncia la svolta e mi risolve la serata.
Non è la prima volta che Fleischmann passa da queste parti, già qualche anno fa ebbi modo di vederlo in occasione del suo tour per la promozione del suo penultimo album “Angst is Not a Weltanschauung”, buon lavoro peraltro. Ricordo che fu proprio un bel concerto: buona location, suoni nitidi e potenti, proiezioni audio di provvidenziale supporto alla musica suonata, due musicisti/cantanti in carne ed ossa a dare fisicità al set elettronico dell'austriaco. Tanto mi piacque che mi convinsi a comprare l'album, che peraltro trovate recensito proprio dal sottoscritto su queste pagine.
Lo spettacolo che mi si para questa volta davanti agli occhi, durante il mio ingresso, è però totalmente diverso: un locale non adatto ad ospitare l'evento, una misera stanzetta, assenza di palco, quindici persone circa, qualcuno seduto a bersi una birretta sotto ai macchinari, un nerd dalle smorfie imbarazzanti a suonare la chitarra, Fleischmann dietro alla consolle che canta stonato come una campana.
Eppure Fleischmann c'è, nonostante le avverse condizioni: quando imbraccia la chitarra e canta fa veramente schifo, ma se si applica in quello che meglio sa fare (un'elettronica emozionate e pregna di umanità, un po' glitch, certo, e di sicuro non estranea ad elementi pop, rock, indie e post) direi che il risultato è davvero gradevole. Mi emoziono? Nonostante tutto mi emoziono, anche grazie a quel nerd che gli sta accanto, che, anche se non si può guardare, alla chitarra ci sa fare, o meglio, la sa ben adattare al sound del Nostro, conferendo al live-set vigore ed una bella dose di elettricità, che certo non guasta né stravolge la poetica più peculiare del musicista austriaco.
Alla fine rimango soddisfatto, il locale mano a mano che il prezzo dell'ingresso diminuiva (da 5 a 3 a 2 fino a 0€, e chissenefrega!) si era nel frattempo riempito, e sì, alla fine sono uscito soddisfatto (galvanizzato anche da quella soddisfazione che solo i concerti a km zero sanno dare) e, come oramai da tradizione, con l'ultimo lavoro di B.Fleischmann in tasca: quel “I'm Not Ready for the Grave Yet”, uscito sullo scadere dello scorso anno e che io avevo come al solito snobbato.
Certo la musica dell'artista di punta della Morr Music andava un po' di tempo fa (vi ricordavate quando si ascoltavano Lali Puna e Notwist? Com'era migliore il mondo allora, non avete almeno un po' di nostalgia per quei tempi?), ma come egli stesso ci suggerisce fin dal titolo del suo ultimo lavoro, Fleischmann non è ancora pronto per la pensione, e lo dimostra con i fatti, lo dimostra con la musica.
Rispetto a quanto udito in concerto, noto con un pizzico di delusione che non si fa un grande uso di chitarre distorte, che evidentemente erano state solo un trucco per animare la performance dal vivo: su cd il sound risulta ripulito, azzerate le pulsioni più prepotentemente post-rock, laddove a prevalere è il raffinato tocco dell'artista, anche se poi le chitarre sono presenti più o meno in tutto l'album (in più di un episodio si segnala il contributo del chitarrista Markus Schneider – che sia il nerd al suo fianco sullo “stage”?). Ma ospitate a parte (in tre brani è presente anche il sassofono di Karin Waldburger), l'album è una grande prova di intima autonomia di Fleischmann, che finisce per occuparsi di un po' di tutto, comprese le parti vocali (e se rimane chiaro che Fleischmann non è un cantante, di certo la sua prova in studio si dimostra più pregevole rispetto a quella dal vivo).
Ovvio, nel suo eclettismo, e con le voci di Sweet William Van Ghost e Marilies Jagsch, “Angst is not a Weltanschauung” convinceva decisamente di più, ma anche “I'm Not Ready for the Grave Yet” sa intrattenere, evidenziando e confermando le doti di compositore di Fleischmann, la sua capacità di dar vita a melodie orecchiabili e veicolarle tramite una indiscutibile perizia tecnica, fugando ogni minima perplessità in merito all'onestà del prodotto e ogni sospetto su eventuali, presunte tentazioni di piacioneria che potremmo muovergli ad un ascolto superficiale. Fleischmann è così, ed io che adesso posseggo tre lavori e posso definirmi quantomeno suo fan, mi è lecito aggiungere che Fleischmann è sì un piccolo artigiano dell'elettronica, ma anche un vero talento, dato che la sua musica in qualche modo riesce sempre ad emozionare e persino a stuzzicare il palato con soluzioni solo apparentemente scontate, invero dense di una ispirazione e di un approccio alla creazione artistica che il mestiere – che negli anni si è andato ad accrescere indiscutibilmente – va solo a rafforzare.
Fleischmann non ama quindi perdersi in circuiti complessi, né indugiare su dinamiche eccessivamente cervellotiche, ma è un artista dotato (da sottolineare le sue doti di polistrumentista – qualità che gli permette di iniettare umanità in ogni beat elettronico partorito dal suo laptop), dotato di un gran cuore e di umiltà, poiché la sua proposta non si impone con la volontà di cambiare le sorti della storia della musica, ma di dare forma e colori alle sensazioni che di volta in volta il musicista intende comunicare. Forme gentili, colori tenui.
Con questo album l'austriaco affina così il suo linguaggio, stratifica le trame di cui la sua arte si compone (si pensi all'intelligenza delle ritmiche, all'evoluzione dei brani, agli stop & go ed alle variazioni di tema), puntando però su un suono meno massimale, sicuramente più soft nell'impatto, approdando al cantautorato tout court degli ultimi due brani (“All Night the Fox Comes” e “Your Bible is Printed on Dollars”), peraltro nemmeno i brani più belli: non altro che elementari ninne-nanne per chitarra e voce e poco altro, che non escono dallo status del “semplicemente carino”. Meglio quando invece la musica del Fleischmann si adagia nelle confortevoli spire di una elettronica sopraffina e fantasiosa, divertente ed anche ricca di invenzioni (forte sia sul fronte del digitale che su quello dell'analogico), via via scossa dal nervosismo sottocutaneo delle chitarre (e dal velato ma sempre presente messaggio anti-sistema). Bello in tal senso il trittico iniziale: l'opener “Don't Follow”, che più tipica non si può; la maestosa “Tomorrow”, con tanto di enfatici tastieroni futuristi in stile anni ottanta; “Beat Us”, che dal vivo diviene potentissima, e che in studio continua a difendersi bene fra voci campionate e ipnotici arpeggi di chitarra. Belle anche “Who Emptied the River”, nella quale riaffiora un'elettricità più graffiante benché ancora controllata, e la "giocherellosa" titletrack, anch'essa dalle trame percussive irresistibili. Ma tutto l'album – ed è questo probabilmente il suo punto di forza – si fregia di una ricercata e frizzante avvenenza ritmica, evocante anche (vuoi per l'impiego di strumenti acustici) un vago sentore esotico (e “This Bar” ne è l'apoteosi).
Insomma, un album che suscita serenità, questo “I' m Not Ready for the Grave Yet”, e di questi tempi non ci pare poco.E poi le tradizioni sono tradizioni: alla prossima, Bernard!
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